Una stagione irripetibile per la musica, la cultura e la libertà. Anni Settanta baby! Al massimo Ottanta, dice una misteriosa speaker (Francesca Zavettieri). Adesso sono tornati, nell’etere contemporaneo. Il resto, le radio commerciali, sono tutte sparite. Bloccate dal mitico Awanagana. Un Anonymous radiofonico ha colpito tutti, indistintamente. Riproponendo le trasmissioni di quell’epoca. L’inflessibile legge, incarnata dall’Agente Bi (Barbara Cambrea) però, è già alla ricerca di questi neo-pirati dell’etere.  
È quel che si trova nel docu-film Onde Road (2015, di Massimo Ivan Falsetta) prodotto da Acari-Associazione Culturale Artisti Italiani, Distribuzione Indipendente.
 
Mentre il regista (calabrese di Catanzaro, classe ’78) muoveva i suoi primi passi di vita, la libertà delle radio si avviava inesorabile verso la totale estinzione. Dopo tanti discorsi sentiti e risentiti sui mitici Seventies, un bel giorno Massimo Ivan Falsetta ha fatto qualcosa di rivoluzionario. Non si è limitato alle parole e ai ricordi degli altri. Ha 
voluto sapere. Informarsi. Documentare. Raccontare. Approfondire.
Onde Road. Ha inizio il viaggio nella provincia tra terra e mare. Il capo della censura futuribile (Federico l’Olandese Volante), un corpo speciale dei servizi segreti, non ha dubbi. La minaccia si nasconde da qualche parte in Calabria, un tempo patria di piccole radio libere. L’Agente Bi dovrà trovare e neutralizzare chi ha messo Ko tutto il servizio radiofonico, inclusi i programmi in streaming.
 
La caccia ha inizio e nel mirino del ligio agente, un po’ Trinityana nell’aspetto (ma opposta nello schieramento), vi sono tutti gli ex-speaker e fondatori delle effettive radio libere di una volta. Ecco allora i vari Gianfranco Falsetta (Metal garagista, di Radio Azzurra Calabria), Nino Mirante Marini, in arte Jonathan super disco, Antonio Ruoppolo, in arte Tony King – Radio King International, Pietro Falbo, in arte Dj Phantom – Radio Veronica e molti altri ancora. E giusto per non farsi mancare nulla, ci scappa pure un incontro ravvicinato con l’originale tastierista “argentato” dei Rockets, Fabrice Quagliotti.
Come in ogni buona (ed estenuante) ricerca, si finisce sempre per scoprire qualcosa di nuovo (o American-Beautyanamente sepolto) di sé. Sarà così anche per l’Agente Bi? 
 
È indubbio che per i ventenni degli anni Settanta la musica sia stata qualcosa di epico. Elencare le band che hanno scritto alcune delle pagine più gloriose del rock, pop e dance, sarebbe troppo per le coronarie. Non è un caso che nei primissimi minuti di Onde Road si ascolti Stairway to Heaven dei Led Zeppelin. 
Ma chi è nato dagli anni Novanta in poi, come potrà davvero capire che una volta si era più liberi a dispetto di una maggiore rigidità sociale e culturale? Sembra impossibile, eppure era proprio così. 
 
C’erano molte maglie, è indubbio, ma allo stesso tempo c’erano anche molti più spazi di manovra e la libertà non veniva incanalata in commenti schedati-controllati o in applicazioni a disposizione di qualunque forza superiore. Una volta esisteva perfino il piacere dell’anonimato. Parola bandita quest’ultima al giorno d’oggi.
Di questi tempi i social network (e annessi succubi adepti) ti dicono che devi raccontare tutto di te. Siamo perfino arrivati alla follia totale in cui un datore di lavoro ti scarta a priori senza neppure aver letto il tuo curriculum magari per un post che non gradisce. Ecco il grande bluff dell’era moderna. 
L’illusione del sentirsi liberi perché si può dire e fare tutto ciò che si vuole, senza rendersi conto che il proprio confidente quotidiano altri non è che il nostro carceriere di fiducia.
 
È raro trovare nel panorama nazionale prodotti che esulino dalla mera commedia. Il fim di Falsetta ci riesce a pieno titolo. 
Non aspettatevi un I love Radio Rock (2009, di Richard Curtis) all’italiana, sbagliereste di grosso. Per certi versi non sembra nemmeno un prodotto del Belpaese per come siamo abituati a vederlo narrato sul grande schermo. Nel viaggio di Onde Road i rimpianti non sembrano appartenere a chi ha vissuto sogni e speranze di quell’epoca, ma proprio perché li ha vissuti. E poi è andato avanti. 
Nel terzo millennio il presente e ancor di più il domani appaiono sempre più controllati. Forse (si spera) non ai livelli di V for Vendetta o Æon Flux – Il futuro ha inizio, ma c’è poco di che stare allegri. Oggi, stremati dalla crisi e dalla precarietà, si cerca di convincersi che le cose potrebbero sempre peggiorare. E ci si accontenta di una frusta non così letale. 
Forse allora dovremmo ripensare a cosa significano davvero le parole “la libertà non consiste nell’avere un buon padrone, ma nel non averne affatto”. 
Lo disse il filosofo Cicerone (106-43 a.C.). Più di duemila anni dopo il film Onde Road ce l’ha ricordata. E se in pieno spirito Seventies ricominciassimo anche noi a vivere la libertà?
 
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