Il fascino politico e dialettico del presidente che eliminò la schiavitù dei neri nel ritratto ipnotico di Spielberg
“Lincoln” è un film di Steven Spielberg, solido, denso di di-scussioni e scontri di tipo ideologico ed umano sul tema dell’u-guaglianza e della fine della schiavitù nera negli Usa. Questi dibattiti si svolgono in ambienti prevalentemente scuri, con semplici arredi di legno, fra personaggi rappresentanti gli Stati del-l’Unione del Nord e della Con-federazione del Sud.
Lo scopo del film è la celebrazione ed esaltazione del momento della votazione nel congresso degli Usa del tredicesimo emendamento della costituzione, quello che abolì la schiavitù dei neri sul territorio americano. E questo avvenne per volontà di Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Usa, all’inizio del suo secondo mandato.
Fu un genio politico dai molteplici aspetti. Aveva una coraggiosa visione del futuro, basata sui concetti fondamentali della Rivoluzione francese del 1789, la libertà e l’uguaglianza, cui univa una straordinaria capacità di convincere e coinvolgere emotivamente il maggior numero possibile di persone.
Afferrava l’attenzione degli altri in modo irresistibile, al limite dell’attrazione ipnotica, li distraeva ed allontanava da eventuali argomentazioni personali contrarie alle sue con la narrazione di storielle, fatti, ricordi di letture ed esperienze e quan-t’altro potesse catturare l’attenzione, ispirava pensieri nuovi in chi lo ascoltava.
A ciò aggiungeva, nella pratica politica quotidiana, una disinvolta capacità di compromesso, di machiavellismi, di indiretta complicità in promesse di posti e prebende usati tranquillamente co-me mezzi di persuasione di quelli contrari all’abolizione della schiavitù. Insomma, il fine giustifica i mezzi, senza se e senza ma, motivo fondamentale ed eterno della prassi politica che, vista dall’esterno, ispira interpretazioni diverse e contrastanti fra di loro. In ognuna una piccola scintilla di verità.
Per chiarire la sua idea di u-guaglianza Abramo Lincoln ricorre al principio di un antico filosofo greco, di cui lui ha fatto tesoro: tutte le cose uguali ad una stessa cosa sono uguali fra di loro. Lascia agli altri discutere al congresso se l’uguaglianza riguardi la natura umana in generale o solo il rapporto dell’uomo con la legge.
Il primo modo di vedere, troppo radicale per l’epoca e forse ancora oggi, suscitava reazioni feroci da parte dei rappresentanti dei singoli Stati, che al congresso si lanciavano ingiurie e offese reciproche tali da far invidia a tanti odierni politicanti da strapazzo. Sostenevano allora: se oggi ammettiamo che i neri sono eguali a noi, domani dovremo dare loro il diritto di voto, e poi lo dovremo dare anche alle don-ne. Non esce la frase, allora impensabile, “e poi avremo un presidente di colore”, ma è chiaramente implicita. Quando il ca-po dei difensori del partito del-l’uguaglianza, con molta difficoltà, limita l’idea di uguaglianza al rapporto con la legge, tutti uguali di fronte alla legge, allora si facilita il consenso a questa tesi e si raggiunge il numero di voti necessario all’approvazione, ottenuto con una impegnativa votazione per appello nominale, non a scrutinio segreto.
Infine, piace ricordare la generosità di Abramo Lincoln nel concedere la grazia ad un ragazzo condannato a morte, “altrimenti non impara più nulla” dice, ed il rapporto con la moglie, sincero e profondo.
Doveroso citare il brillante la-voro dell’attore Daniel Day Le-wis, figlio del poeta irlandese Cecil. Egli rappresenta il presidente Lincoln con un volto che somiglia in modo impressionante al suo ritratto più noto. Un uomo altissimo dallo sguardo magnetico, pensoso e scrutatore dell’animo altrui, dal parlare calmo e suadente, dal sorriso raro ma penetrante, dal passo lento, dotato di sovrumane capacità politiche.
Aggettivo quest’ultimo, usato nel senso buono del termine, riferito al significato originale della parola, polis, società.
Tutto il film riconcilia con la politica, quella bella, in tempi di diffusa ideologia qualunquista ed anticasta priva di ogni altro scopo oltre quello di criticare negativamente tutto e tutti e farsi i conti in tasca. C’è anche la politica buona, quella di servizio alla comunità ed alle istituzioni centrali e locali da essa espresse, da parte di chi ne ha la vocazione e le capacità.