La Turandot è un'opera pucciniana portata in scena postuma nel 1926  (Ph © Bulgarin | Dreamstime.com)

Trent’anni di attività e il prestigioso premio “Pavarotti d’oro”, ricevuto lo scorso settembre, che nelle motivazioni riassume una carriera prestigiosa.

“Ha debuttato al Teatro alla Scala di Milano come Rodolfo in “La Bohème” nel 1988 e al Metropolitan di New York come Nemorino in “L’elisir d’amore” nel 1993. La sua grande preparazione tecnica e musicale gli permette di coprire un vasto repertorio che va dal bel canto di Bellini, Donizetti e Rossini, ed il lirismo del repertorio operistico francese, alle opere di Puccini e Verdi e più recentemente al verismo italiano con “Cavalleria Rusticana” e “I Pagliacci”. All’Arena di Verona debutta nel 1991 come Duca di Mantova in “Rigoletto” con Leo Nucci. Fra le più recenti interpretazioni il suo debutto come Paolo il Bello in una ripresa di Francesca da Rimini di Zandonai al Metropolitan; Faust nell’opera omonima di Gournod; Radames in Aida a Vienna; Calaf in Turandot al Teatro dell’Opera di Roma”.

Dagli studi di canto lirico a Catania e dalla vittoria nel 1986, ad appena 23 anni, del concorso di canto di Spoleto che lo vedrà debuttare subito dopo in Rigoletto al Festival di Spoleto, a oggi in scena ne I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, la lirica lo impegna con passione e abilità. Ecco cosa come si racconta il tenore siracusano Marcello Giordani.

Come affronta ogni volta il “debutto” in un teatro nuovo, davanti a un pubblico nuovo?

Con rispetto, interesse e curiosità. Queste sono le tre prerogative senza le quali questo forma d’arte non sopravvivrebbe, per me. Il rispetto è ciò che conta di più: per la musica, per il compositore, per gli esecutori, per i lavoratori tutti del teatro (artisti del coro, maestranze, macchinisti, portinai, ecc.) ma soprattutto del pubblico pagante.

Nel corso della sua carriera ha già incrociato tanti rinomati colleghi, registi e direttori d’orchestra: che cosa cerca di serbare di ogni incontro?

Più che altro cero di “rubare” sempre qualcosa, anche da artisti più giovani in carriera. C’è da imparare sempre; osservare quello che fanno gli altri mi aiuta tantissimo a crescere come artista, come musicista. È il lavoro più bello del mondo il nostro, perché ci permette di essere, contemporaneamente: pittore, scultore, architetto, attraverso la musica, attraverso la voce. Se poi hai la fortuna di lavorare con sommi personaggi (direttori d’orchestra, cantanti o registi) allora puoi veramente considerarti baciato da Dio.

Tra le sue interpretazioni più recenti c’è Des Grieux, il cavaliere di Manon Lescaut, opera in quattro atti di Giacomo Puccini andata in scena all’Opera di Liegi. Che personaggio è?

Dal punto di vista drammaturgico/musicale Puccini si è soffermato all’essenziale, tralasciando accadimenti non importanti per lui, mantenendo ferma e concentrata la trama sul rapporto infelice tra i due. Nella sua Manon, Puccini mette in evidenza la tragicità della storia d’amore, senza mostrare mai i due amanti felicemente uniti. Mentre la Manon di Massenet si conclude a Le Havre, Puccini va oltre, creando la struggente scena dell’imbarco (atto terzo), fino alla scena del quarto atto nel deserto della Louisiana. 

Cos’ha di stimolante dal punto di vista vocale?

Dal punto di vista vocale è un ruolo arduo poiché richiede una vocalità a 360 gradi, con dinamiche debussyiane, e/o straussiane, con slancio verista.

Des Grieux s’innamora di Manon immediatamente: lei crede all’amore a prima vista?

Diciamo che quando avevo l’età di DesGrieux, sì. Mi sono innamorato di una donna al primo sguardo: l’ho sposata e siamo ancora insieme dopo quasi 30 anni.

Quale consiglio tiene sempre presente nel suo percorso artistico?

So di dire qualcosa che può dare adito a malintesi; ho imparato a guardare indietro. Cercare di non fare più gli stessi sbagli per migliorarsi come uomo e come artista. Si rimane umili, ravveduti. Si impara l’arte della pazienza, della tolleranza. Ho un motto che mi accompagna sempre: L’arte è come il vetro. Più brilla, più è fragile.

Come formatore che cosa aspira a trasmettere più di ogni cosa?

La mia esperienza di cantante e uomo. Praticamente le stesse cose che ho detto prima.

Catania, Milano, Spoleto… può riassumerci brevemente che cosa significano per lei queste tre città?

Catania è la città natale dei miei genitori ed è stata la città che mi ha visto fare i primi passi come studente di canto e loggionista al Bellini. A Spoleto sono stato vincitore del Concorso nel 1986 ed , infine, Milano, dove è cominciata la mia carriera internazionale. A questa lista aggiungerei New York, il Metropolitan Opera.

In questi anni ha viaggiato tanto: facile tenere certi ritmi e allo stesso tempo preservare voce e vitalità per le opere da rappresentare?

Non è stato facile: Grazie ad una moglie “normale” ho avuto la possibilità di avere la mia famiglia sempre con me, almeno nei primi anni. Facevamo base a NY, dove abbiamo un appartamento e i nostri figli frequentavano le scuole mentre io cantavo al MET. Passavamo anche lunghi mesi negli Stati Uniti, a Ny in particolare, quindi non subivo stress di viaggi o di lontananza. 

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