Il primo incontro nella Storia fra un Pontefice romano e il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie è avvenuto in territorio neutrale, l’isola di Cuba, e in non–luogo, l’aeroporto Josè Marty. “Finalmente, somos hermanos” ha detto Francesco a Kyril.
Dopo quasi mille anni i due Primati separati, che portano il peso di due Chiese che si sono dilaniate per secoli, si sono abbracciati in un clima di grande semplicità. Altri abbracci c’erano stati in 50 anni di incontri ecumenici, riti, gesti simbolici, ma mai con il Patriarca russo, nei lunghi anni di attesa fatti di un paziente lavoro di ricucitura di rapporti lacerati, di lavoro diplomatico intenso e silenzioso.
Finalmente quel che sembrava impossibile è avvenuto, in modo inedito, senza sfarzose cerimonie, senza liturgia, in un’isola che da ora in poi si potrà chiamare, come ha suggerito Francesco, l’isola dell’Unità, della riconciliazione (dei Cristiani), la nuova terra promessa del dialogo.
Cosa ha reso possibile un evento che sarà scritto nella storia? Sicuramente la consapevolezza, di ambedue le parti in causa, che i Cristiani divisi sono di per sé una contraddizione per il Vangelo.
Papa Francesco è stato da sempre un convinto assertore del dialogo, dell’incontro: solo i contatti personali aiutano a conoscersi e solo conoscendosi è possibile alimentare una spiritualità di Comunione, che è l’obiettivo comune dell’unità nella diversità.
L’incontro di Cuba non è stato un fatto di politica ecclesiastica, o almeno, non solo questo: con delicatezza, generosità, disponibilità e nel contempo con la forza, l’energia spirituale e la capacità di incidere nella Storia che solo l’intelligenza del cuore, il senso di giustizia, la Santità possono dettare, Francesco non ha avuto paura di affrontare nodi irrisolti, di farsi carico di responsabilità millenarie.
Instancabile costruttore di pace, profeta del futuro, Papa Bergoglio ha intuito che la riconciliazione religiosa può divenire il preludio di quella politica e sociale. Cosa si sono detti in due ore di stretto colloquio? E’ facile pensare, anche da ciò che viene riportato nella Dichiarazione congiunta firmata, che si è parlato del martirio delle rispettive Chiese, delle difficoltà che incontrano, del Medio Oriente sconvolto da terrorismo e violenza, della riappacificazione tra le Chiese in Ucraina, del rifiuto dell’uniatismo e del proselitismo, del dialogo teologico bilaterale che procede tra difficoltà. Si è parlato anche del diritto dei Greco-ortodossi di esistere e vivere accanto agli Ortodossi, della difesa delle esigenze di giustizia. “Chiediamo alla comunità internazionale – hanno scritto – di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente”.
“Abbiamo la sensazione di essere arrivati a un traguardo, ma anche a un punto di partenza – ha detto il portavoce papale Padre Federico Lombardi- la Chiesa Ortodossa russa è un tassello fondamentale del quadro ecumenico”. Un lungo cammino si è concluso con l’Incontro, di cui non siamo in grado oggi di valutare l’importanza né le conseguenze per il futuro.
Un cammino ed un dialogo iniziati e messi in atto dal Concilio Vaticano II: la scelta ecumenica è stata un fenomeno irreversibile nel corso di questi ultimi 50 anni in cui la situazione ha subito profondi cambiamenti, contrassegnati da luci e ombre. Se molti malintesi sono stati chiariti e si sono create amicizie autenticamente ecumeniche, malgrado la persistenza di antichi pregiudizi e differenze di fede, l’ecumenismo, insieme all’evangelizzazione, rimane il cammino della Chiesa verso il futuro.
Il dialogo teologico è continuato in questi anni attraverso la Commissione mista, tra le difficoltà accumulate dalla lunga divisione, ma ci sono stati anche gesti simbolici, segni che hanno accelerato il cammino verso la tanta auspicata Unità dei cristiani.
Vale ricordarne alcuni: la restituzione da parte del Vaticano delle reliquie dei Santi Giovanni Crisostomo e Gregorio nazianzeno il Teologo, vissuti tra il 340 e il 390, ambedue vescovi e dottori della Chiesa, la restituzione dell’immagine della Vergine di Kazan, la Professione di fede firmata da Giovanni Paolo II e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione della commemorazione in Vaticano dello storico abbraccio tra Paolo VI e Athenagoras e L’Enciclica del 1995, Ut Unum Sint, che riaffermava proprio quanto il Concilio aveva enunciato nel Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio.
Con la Dichiarazione comune del 1 luglio 2004 si era fatto un ulteriore passo avanti sulla via ecumenica, che, dopo l’abbraccio fra Paolo VI e Athenagoras, ha conosciuto altri momenti forti, fra questi la visita di Giovanni Paolo II al Patriarca Dimitrios nel 1979, la visita di Dimitrios a Roma nel 1987, l’incontro di Assisi alla Giornata di preghiera per la pace, la Dichiarazione comune per la salvaguardia del creato del 2002.
D’altronde non è certo cosa facile sanare un dissidio che di anni ne conta più di 900. Ricordiamo l’inizio della dolorosa separazione in quel lontano e tragico aprile del 1204 attraverso le parole di Papa Wojtyla: “Un esercito partito per recuperare la Terra Santa alla Cristianità si diresse verso Costantinopoli per prenderla e saccheggiarla, versando il sangue di fratelli nella fede. Come non condividere, a distanza di otto secoli, anche noi lo sdegno e il dolore che, alla notizia di quanto era successo, manifestò subito il Papa Innocenzo III?”.
Oggi Papa Francesco, con una svolta fondante, epocale, porta avanti il sogno di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, certamente con la complicità e la disponibilità di Cyril che ha mostrato di essere convinto della necessità dell’Ecumenismo per tutte le Chiese ortodosse e di una riconciliazione con la Chiesa cattolica. Perché, e concludiamo con le parole di Papa Francesco, “L’Unità si costruisce camminando”.