Il primo papa argentino. Il primo papa gesuita. Il primo papa con il nome di Francesco. 
Sono diversi i primati che il nuovo pontefice ha acquisito agli occhi del Mondo nel momento in cui ha salutato la folla di San Pietro, la sera del 13 marzo. E in tanti hanno iniziato una  febbrile caccia alle sue origini e al suo percorso umano e sacerdotale.
 
In pochi però hanno sottolineato la straordinaria sintesi che nella figura di papa Francesco ha espresso cinque secoli di storia migrante italiana e altrettanti anni di evangelizzazione italiana del subcontinente sudamericano. Una storia costellata di figure affascinanti e di grandi successi, ma anche di sconfitte terminate in tragedie. E ciononostante affascinanti.
  Papa Francesco, Jorge Bergoglio

  Papa Francesco, Jorge Bergoglio

 
In pochi hanno posto l’accento su un altro straordinario primato conquistato da Jorge Mario Bergoglio: essere il primo pontefice “italo-argentino”, o meglio “italico” della storia del papato. 
L’Italia in effetti è uno strano paese. Capace di emozionarsi e di indignarsi per i tanti affronti subiti dagli immigrati, e allo stesso tempo di dimenticare, o al massimo sopportare, la grande presenza di un’altra Italia che vive fuori dai confini italiani. 
 
Un’Italia che per molti anni ha contribuito alla ricostruzione economica del Paese (ma c’è ancora qualcuno che ricorda la somma delle rimesse inviate in Italia dai nostri espatriati per nutrire i parenti e ricostruire o acquistare le case dei paesi natii?) e che ha regalato straordinari protagonisti della nostra genialità ai paesi che li hanno accolti. Un’Italia orgogliosa, forse più degli stessi connazionali residenti, delle origini nonostante la costrizione dell’espatrio.
 
In questo disarmante deserto della memoria si colloca la storia di molti italiani arrivati in  Suda-merica non in cerca di opportunità di lavoro, ma di anime da convertire oppure da consolare. Pronti a lasciare gli agi di una tranquilla vita parrocchiale per sfidare la Natura e l’ignoto, il paganesimo e la superstizione, le dittature militari e le avversità climatiche per portare la parola di Dio in terra sudamericana.
Sono tanti e per citarli tutti occorrerebbe scrivere un voluminoso compendio. Ma è difficile tacere di alcuni che hanno lasciato tracce importanti nel loro passaggio terreno e un’eco indelebile nelle popolazioni che li ha visti all’opera. 
  Illustrazione d’epoca: padre Bibolini incontra il capo tribù Calfucurá

  Illustrazione d’epoca: padre Bibolini incontra il capo tribù Calfucurá

 
Francesco Bibolini ad esempio. Per tutti gli argentini il “santo de las Pampas”. Nato a Lerici, ordinato sacerdote nel 1847, cinque anni dopo vendette tutti i suoi beni temporali per pagarsi il viaggio verso il Paraguay. Ma al confine fu scambiato per un medico e sequestrato da un poliziotto che gli chiese di praticare un’amputazione. Il giovane prete fuggì sconvolto alla volta di Buenos Aires che raggiunse l’anno seguente dopo aver attraversato paludi e selve infestate da animali feroci, superando le province di Corrientes, Entre Rios e Santa Fe. Fu però l’ultima fuga. Bibolini riempì la vita di mille episodi caritatevoli ma uno è rimasto indelebile nella memoria d’Argentina. 
 
Nominato parroco del villaggio 25 de Mayo, riuscì con la fede e il coraggio a fermare le bellicose schiere di indiani Araucani guidate da Calfacurà guadagnandosi la riconoscenza della popolazione. Per gli abitanti delle pampas divenne il “salvatore del popolo dalle invasioni degli Indios nel 1859”.
I gesuiti Simone Maceta e Giuseppe Cataldino lasciarono segni indelebili sul fiume Paranà, nella terra dei Guarany. 
 
Le “reducciones” gesuitiche sono entrate nella storia e nella sceneggiatura del celebre film The Mission. I missionari trasformarono le terre del Guarany in laboratorio di idee. Falegnami, fabbri, tessitori, sarti, calzolai, conciapelli, tornitori, stagnai, orologiai, scultori, pittori, fonditori di campane, strumentisti: ogni attività artigianale fu intrapresa e ogni paese si specializzò. Loreto divenne il centro dell’intaglio e delle statue. A San Giovanni Battista si facevano strumenti musicali. Guidati e protetti da missionari, tra i quali si il  sardo Andrea Giordano e il calabrese Antonio Apparizio, i Guaranì e i Chiquitos impararono l’arte dell’economia e si specializzarono nella produzione del “tè del Paraguay”, articolo che trovò grandissimo successo nelle città coloniali del Sudamerica.
 
Antonio fu scelto per la sua bella voce e cantò nel Coro dei Pueri Cantores della Corte Imperiale di Vienna, dove in quegli anni trionfava la musica italiana. In quello che era allora un centro musicale di prima categoria Sepp studiò musica arrivando alla padronanza assoluta di vari strumenti, ma a 19 anni decise di lasciare la promettente carriera per diventare gesuita. 
 
Ritiratosi in meditazione, continuò meticolosamente a studiare e a specializzarsi nello “stile moderno” dell’epoca: la composizione di brani strumentali ed indipendenti dalle esigenze del coro. Destinato nel 1689 alle Missioni dell’antico Paraguay si  mise in viaggio per Buenos Aires sulla nave “Almiranta”, ed allietò i passeggeri della nave suonando musica nelle principali festività liturgiche durante la traversata dell’Atlantico. Con sè portava un carico importante della Compagnia di Gesù: strumenti musicali e l’organo per Buenos Aires.
 
Nella Reducción de los Santos Reyes de Yapeyù padre Antonio Sepp (nato a Caldaro, Bolzano nel 1655) arrivò per insegnare musica agli indigeni. Il gesuita  lasciò letteralmente sbalorditi i confratelli spagnoli quando si mise a costruire un organo con pedaliera (non si era mai visto suonare con i piedi). Per questo straordinario strumento, non avendo stagno a sufficienza, utilizzò legno levigato per le canne maggiori e l’eccezionale resa musicale dell’organo gli valsero l’Incarico ufficiale di costruttore per le missioni dei Guaranì. 
 
“Questi Indios paraguaiani sono, di natura, come creati per la musica, in modo che apprendono la tecnica di suonare tutti i tipi di strumenti con sorprendente facilità e destrezza in tempo brevissimo”. Così il gesuita descrisse in una lettera il talento naturale degli indigeni delle sue missioni, fornendo i nomi dei migliori allievi (Ignacio Paica e Gabriel Quirì divennero grandi costruttori ed esecutori musicali). Padre Antonio inventò tra l’altro l’arpa a corda doppia costruendo l’antenato dello strumento nazionale di queste terre: l’arpa paraguaiana. 
 
L’italiano creò in ogni Reducción una scuola di canto corale, di musica e danza, insegnando quasi tutti i tipi di strumenti, tra quelli permessi per esecuzioni in Chiesa. Insegnò ai suoi Guaranì e selezionò centinaia di cantanti che vennero mandati in concerto nelle città argentine, brasiliane e uruguaiane. Rimase più di 40 anni nelle foreste del Sudamerica e lasciò il testimone all’altro grandissimo esponente della musica missionaria: Domenico Zipoli.
 
Saranno però piemontesi le più belle storie scritte sul finire dell’Ottocento nelle terre inesplorate dell’Argentina e del Cile: Patagonia e Terra del Fuoco.
Giuseppe Fagnano e Giovanni Cagliero divennero protagonisti assoluti dell’evangelizzazione sudamericana. Allievi di San Giovanni Bosco, i due salesiani piemontesi attraversarono l’Atlantico per poi intraprendere un percorso terrestre verso il Pacifico. 
 Padre Giovanni Cagliero  

 Padre Giovanni Cagliero  

 
Giuseppe Fagnano (nato a Rocchetta Tanaro nel 1844), si guadagnò l’appellativo di “Capitano Bueno” e viaggiò instancabile tra le isole Malvine, la Terra del Fuoco e la Patagonia argentina; spostandosi a bordo della goletta “Maria Ausiliatrice” por-tò aiuti spirituali e materiali, co-struì scuole e missioni tra i bellicosi indiani Onas, Haus e Aca-luffi. In suo nome, il contrammiraglio cileno Vincente Montes battezzò un lago scoperto nel 1892: il lago Fagnano è situato ai confini di Cile e Argentina), regalando all’instancabile apostolo una fama imperitura.
 
Giovanni Cagliero (nato a Castelnuovo d’Asti nel 1838) divenne agli occhi del presidente della Repubblica Argentina “il civilizzatore della Patagonia”. I suoi resti riposano a Viedma. Lasciò un’imponente opera umana e religiosa: 1400 missionari, 12 istituti fondati a Buenos Aires dai salesiani e dalle suore di Maria Ausiliatrice, con 5000 tra alunni ed alunne; 68 case con 10 mila alunni interni e 15 mila esterni nel resto dell’Argentina  e altri 137 istituti salesiani tra Cile, Brasile, Paraguay, Uruguay, Centro America.
  Alberto Maria De Agostini, “Padre Patagonia”, con un Indigeno

  Alberto Maria De Agostini, “Padre Patagonia”, con un Indigeno

 
Nato a Pollone (Vercelli) nel 1883 Alberto Maria De Agostini riuscì nell’impresa di unire l’apostolato alla passione per le esplorazioni e per le scalate in alta quota. Fratello del fondatore della casa editrice omonima, il salesiano nel 1909 partì per la Terra del Fuoco. In quasi 50 anni percorse quasi ogni angolo della Cordigliera fueghina, delle isole dell’arcipelago della Terra del Fuoco, delle Ande della Patagonia. De Agostini esplorò i canali Beagle e Cockburn, la penisola Brennock, la baia Desolada, l’isola O’Brien, scoprendo nuovi ghiacciai cui diede nomi nostrani come il Roncaglia e l’Italia. Scalò il monte Italia e il monte Francese. Tra il 1930 e il 1931 la piramide del monte Mayo, effettuò la traversata della cordigliera patagonica centrale dal ghiacciaio Uppsala al fiordo Falcòn nel Pacifico. Poi i monti sopra il lago S. Martin. Nel 1943 conquistò la vetta S. Lorenzo, con le guide svizzere Hemmi e Schmoll.
 
Nei suoi innumerevoli viaggi  raccolse fossili e campioni di rocce, studiò la morfologia di montagne glaciali, classificò un grande numero di specie vegetali, si trasformò in antropologo seguendo gli ultimi gruppi indigeni della Terra del Fuoco e della Patagonia: Onas, Tehuelces, Yamanas e Alacalufes. 
Numerosi i suoi libri e articoli su periodici e quotidiani di mezzo mondo, numerosi i riconoscimenti accademici. Il governo cileno gli dedicò un fiordo lungo 35 km, scoperto dal religioso nel 1912 lungo il massiccio centrale della cordigliera fueghina.
 
All’esploratore è intitolato il parco nazionale situato nella provincia di Magallanes, ai confini con l’Argentina, e comprendente 380 mila ettari di boschi. Per aver domato il colosso della Terra del Fuoco, montagna con caratteristiche alpine e quindi molto familiare agli scalatori italiani, ricevette il “General Bernardo O’Higgins“, la più alta onorificenza del governo cileno.
 

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