Pietra di Bismantova in Reggio Emilia che ispirò il Purgatorio di Dante Alighieri (Ph © Gkphoto | Dreamstime.com)

Solo pochi numeri: 68mila bovini distribuiti in 1540 allevamenti,136 caseifici per una produzione annua di 967634 forme di Parmigiano. Basterebbero questi dati a identificare Reggio Emilia come il regno italiano del formaggio o per catalogare questa provincia, tra le eccellenze nazionali del comparto agricolo e zootecnico europeo, o ancora, per citare il luogo di nascita di uno dei prodotti più esportati del “made in Italy”, un marchio tutelato dalla tipicità ma anche tra i più copiati nel mondo: il Parmigiano reggiano.

Eppure, Reggio Emilia e la sua provincia sono un viaggio alla ricerca dell’Italia nascosta, un angolo di pianura padana che racconta pezzi importanti della storia italiana.
In questo angolo dell’Emilia Romagna, la pianura bagnata dal Pola fa da padrona lasciando spazio a crinali appenninici che regalano tipicità di alta collina. Conviene attraversare la provincia percorrendo la Strada statale 9 via Emilia. Attenzione: solo citare questa strada vi porterà nella storia d’Italia.

Perché quella che ancora oggi attraversa questa fetta d’Italia è un’opera realizzata dal console Marco Emilio Lepido per collegare in linea retta Rimini con Piacenza. Sul suo selciato camminarono le armate di Giulio Cesare quando attraversarono il fiume Rubicone dichiarando di fatto l’inizio della guerra civile. Il suo percorso è stato prolungato successivamente fino a Milano divenendo una delle arterie principali dell’Italia risorgimentale.

Formata da 45 comuni, nessuno con una popolazione inferiore a 1000 abitanti, la provincia di Reggio vanta nomi di assoluto prestigio: Guastalla, Correggio, Canossa, Brescello, Pietra di Bismantova. Sono entrati a far parte dell’iconografia storica italiana. A Correggio nacque nel 1489 Antonio Allegri figlio di Pellegrino e Bernardina Piazzoli degli Ormani che di tutti i grandi protagonisti della sua epoca, è l’artista meno documentato e il più leggendario. Il “Correggio”, vero genio del colore, lavorò nella cappella funeraria dei Mantegna a Mantova, realizzò la Natività di Brera e la Madonna di San Francesco (oggi custodite a Dresda), eseguì la tela con Giove e Antiope oggi conservata al Louvre, L’educazione di Amore oggi alla National Gallery di Londra, l’Adorazione dei Pastori oggi a Dresda, l’Allegoria del Vizio e l’Allegoria della Virtù, e i quattro capolavori Amori di Giove (Danae, Leda e il cigno, Ganimede e l’aquila, Giove e Io), commissionatigli dal duca Federico II Gonzaga negli anni Trenta del Cinquecento.

Alle falde dell’Appennino reggiano (nel comune di Castelnovo ne’ Monti) sorge La Pietra di Bismantova, una caratteristica formazione geologica che si presenta come uno stretto altopiano dalle pareti scoscese, che si staglia isolato tra le montagne appenniniche e che ispirò Dante Alighieri per la montagna del Purgatorio.
Ciano d’Enza con il suo castello di Canossa rappresenta una pagina importante della storia italiana del XI secolo, con il paese al centro della politica europea ed Enrico IV e Matilde di Canossa protagonisti della lotta fra Papato e Impero.
Il capoluogo Reggio rappresenta da solo un valido motivo per scegliere questo percorso alla ricerca della italianità verace: il 7 gennaio 1797, la città innalzò il primo Tricolore verde, bianco e rosso.

Fondata da Marco Emilio Lepido con il nome di Regium Lepidi, la città del Tricolore è stata insignita nel 1950 della Medaglia d’oro al valor militare (oltre 500 i caduti nella lotta partigiana contro l’esercito nazista) e detiene un particolare primato: dalla nascita della Repubblica è sempre stata governata da partiti di sinistra senza vedere mai un’alternanza di colore politico. La città è al centro dell’esperienza chiamata “Reggio Children” per l’approccio pedagogico nelle scuole dell’infanzia comunali, ispirata alle ricerche del pedagogista reggiano Loris Malaguzzi ed è universalmente riconosciuta e stimata per l’alto livello formativo degli asili nido e delle scuole dell’infanzia.

Il Teatro Municipale neoclassico, le basiliche rinascimentali e barocche di San Prospero e della Beata Vergine della Ghiara, il Duomo, Palazzo Ducale, piazza Prampolini, piazza San Prospero, piazza Casotti, Piazza Fontanesi rappresentano il fulcro architettonico di una città che conserva gelosamente il primo Tricolore nella sala settecentesca del Municipio e ama leggere la sua Gazzetta fondata nel 1860.

Ma se la città riflette lo spirito risorgimentale in tutte le sue angolazioni, la provincia si propone ai visitatori con il gusto, mettendo sulla tavola una straordinaria varietà di prodotti di nicchia e dal marchio protetto.
L’agricoltura reggiana è fra le più ricche e più evolute della regione Emilia-Romagna e nel corso degli anni è andata specializzandosi, grazie alle caratteristiche peculiari del territorio, nell’indirizzo zootecnico-foraggiero. Il fulcro dell’agricoltura provinciale sta nella produzione e lavorazione del latte. I caseifici rappresentano un giacimento produttivo che traina la suinicoltura e la viticoltura. Formaggio, prosciutto e lambrusco raccontano in tre parole la vera anima di una provincia racchiusa tra il corso del Po (a nord) e le propaggini appenniniche a sud, capace di produrre il 31% del Parmigiano reggiano (con entrate stimate sui 300 milioni di euro l’anno) e un reddito agricolo che al 62% deriva dalle produzioni animali.

La scoperta della provincia reggiana passa quindi obbligatoriamente attraverso la degustazione dei suoi numerosi prodotti a marchio DOP e IGP.
Lo scritto più antico in cui si trova menzionato l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP risale al 1046 in cui si parla di un aceto, ricostituente e balsamico, tanto desiderato dalle teste coronate. Da quasi mille anni il prodotto si identifica con le due province di Reggio e Modena e si allinea ad altri presidi gastronomici di qualità. Come il salame di Canossa, il Biscione reggiano (dolce da forno) o l’Erbazzone di Reggio Emilia (torta salata tipica). Dal mosto di uva Lancellotta vengono prodotti i sughi d’uva, consumati come dessert, spuntino o, accompagnato da pane, come piatto unico. Il Pecorino dell’Appennino reggiano è un formaggio a base di latte di pecora e coagulato con caglio di latte di agnello mentre la Spongata di Reggio Emilia rappresenta un dolce di origine medioevale (la ricetta più antica di cui si ha conoscenza è attribuibile al convento delle Benedettine fin dal 1480), di complessa preparazione a base di miele, mandorle, pinoli e uva sultanina. Altro presidio gastronomico della provincia è il Cappelletto reggiano, prodotto tipico della cultura tradizionale contadina emiliano-romagnola. La tradizione vuole che i cappelletti siano stati modellati a forma di “Umbilicus Aphroditis”, ma è il ripieno che ne caratterizza la diversa provenienza geografica. Quello reggiano è tradizionalmente composto di solo stracotto di manzo.

Il 22 luglio 1971 venne riconosciuta, tramite un decreto del Presidente della Repubblica, la denominazione di origine “Lambrusco Reggiano”, per qualificare le uve ed i vini prodotti nel territorio provinciale, conosciuti ed apprezzati fin dall’antichità. La versione secca (ma anche quella amabile) viene abbinata ai piatti tipici della tradizione reggiana e completa la scoperta di una provincia immortalata dalle pellicole cinematografiche realizzate a Brescello dove andò in scena la saga di Peppone e Don Camillo ideata da Guareschi.


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