Gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre, dicembre. Sono i nomi dei mesi dell’anno. Sono trascritti con l’iniziale minuscola pur essendo oggi dei veri e propri “nomi propri”, in quanto all’origine essi erano semplicemente degli aggettivi. Queste origini cercheremo di vedere qui di seguito.
 
Non chiedetemi però perché i mesi siano dodici. Né perché essi abbiano una durata differente in termini di numero di giorni. Una cosa intanto possiamo notare, che nel tempo si è definita e ci è stata consegnata.
 
Ed è che da Gennaio a Luglio si alternano un mese più lungo e un mese più corto: Gennaio (31 giorni), Febbraio (28/29 giorni), Marzo (31), Aprile (30), Maggio (31), Giugno (30), Luglio (31). Poi da Agosto a Dicembre si interrompe l’ordine della successione per ripartire di nuovo da un mese lungo: Agosto (31), Settembre (30), Ottobre (31), Novembre (30), Dicembre (31). E di nuovo il ciclo ricomincia. Eternamente.
 
Sicché nel ritmo dei mesi, due volte nell’anno si susseguono due mesi da 31 giorni: Dicembre / Gennaio; e Luglio / Agosto. Se tutto questo abbia una ragione scientifica o culturale, non lo so. Bisognerebbe chiederlo agli astronomi. Noi ne seguiamo la storia civile, quella delle riforme, delle leggi, dei provvedimenti, delle consuetudini radicate nel tempo, e … delle parole. Diciamo perciò che si tratta di un dato culturale.
 
L’attuale sistemazione dell’anno civile è il risultato politico di tutta una serie di credenze, di intuizioni, di scoperte, di risposte ai problemi, spesso anche pratici, che l’uomo ha cercato di dare alla misurazione del tempo in armonia con le leggi della natura. È frutto quindi  di razionalità ed esperienza. In prospettiva economica, naturalmente: come in tutte le cose umane.   
 
Passiamo ora al numero dei giorni dell’anno. Sono 365, 366 ogni 4 anni. I cosiddetti anni bisestili. 
Il numero dei giorni dipende dalla lunghezza dell’orbita che la Terra percorre ruotando intorno al Sole, misurata con il numero di volte che essa ruota su se stessa per percorrerla. Sono i giorni e l’anno. Tutto è relativo! La Terra per percorrere la sua orbita, poiché gira anche su se stessa con un asse inclinato rispetto alla direzione dei raggi solari, impiega 365 giorni (cioè 365 giri su se stessa).
 
Quindi, se consideriamo il Sole immobile, sono 365 alternanze di buio e di luce. Ma dopo 365 giri che la Terra fa a guisa di trottola inclinata, alla fine non è completato interamente il percorso (l’orbita) intorno al sole. Rimane un pezzettino per raggiungere il punto di partenza (equivalente a un po’ meno di sei ore: cioè un quarto del giro della Terra su se stessa). 
 
Fino al tempo di Cesare nessuno ci faceva caso; col passare degli anni però, le stagioni si spostavano. Gli antichi allora con decreti dei sacerdoti preposti a questo compito, inserivano nell’anno dei mesi intercalari, aggiunti in maniera estemporanea. Ogni popolo prendeva provvedimenti autonomamente, così com’erano autonomi e indipendenti i criteri della misurazione del tempo. Ché, certamente, non potevano coincidere.
 
La riforma di Giulio Cesare – che, data l’estensione dell’imperium Romanorum, coinvolse una vasta area del mondo conosciuto – stabilì che ogni quattro anni nel mese di febbraio, dopo il 24° giorno (che si chiamava “sextus ante Kalendas martias”, cioè: “sesto giorno prima del 1° marzo”, o sestultimo di febbraio) si inserisse un giorno in più (il bis-sextus: il sestultimo per la seconda volta). Infatti dopo quattro orbite intere che la Terra compie intorno al Sole, la somma dei (quattro) pezzettini – un po’ meno di sei ore – corrisponde quasi alla durata di una giornata.
 
E poiché il 24 febbraio, secondo il modo dei Romani di chiamare i giorni, era detto “sesto giorno [diem sextum] prima delle Calende di marzo”, il secondo “diem sextum” fu detto “bis-sextum”. Da ciò l’aggettivo bisestile che andò a denominare l’anno che conteneva questo giorno aggiunto. Oggi che chiamiamo i giorni diversamente, negli anni bisestili invece di ripetere il 24 febbraio, aggiungiamo il 29.
 
Con il provvedimento di Cesare, però, si andava oltre il compimento dell’orbita solare, anche se solo di un poco. Restava comunque un inconveniente. Alla distanza sarebbe stato sempre necessario qualche giorno, per mettere l‘anno alla pari e far coincidere così le stagioni. A correggere questa sfasatura intervenne la riforma del Papa Gregorio XIII.
 
Si decise che in occasione di determinati anni bisestili non si aggiungesse la giornata in più. E per recuperare l’eccedenza accumulatasi negli anni già trascorsi dal tempo di Cesare a quello di Gregorio, fu necessario eliminare 11 giorni. Così nel 1582, anno della riforma del calendario, dopo il 4 ottobre si passò al 15 ottobre. Ma solo gradualmente la riforma fu accettata in tutta Europa.
 

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