I palati del XXI secolo sono cambiati, così come il loro approccio al cibo. La cucina oggi, oltre all’italiano, “parla” sempre più spesso cinese, giapponese, spagnolo, portoghese e a breve non mancheranno altri idiomi. L’instancabile ricerca culinaria, dal riscatto dei piatti poveri della tradizione, è ultimamente confluita nella tendenza a promuovere cibi stranieri assieme alla tardiva e “modaiola” riscoperta della ricerca dei sapori del territorio, dei prodotti a chilometro zero, meglio ancora se biologici. Una gratificazione per nutrire la mente più che lo stomaco. L’innovazione e la globalizzazione, dunque, hanno determinato in qualche modo il ritorno alle origini (per fortuna), per chi le avesse volutamente dimenticate nell’oblio di un passato non oltremodo distante.

Si potrebbe faticare a crederlo ma, analizzando le nuove tendenze culinarie, sembrerebbe che stia perdendo popolarità lo spirito della vera cucina di una volta e con essa anche il povero palato semplicemente abituato al “mangiare bene per nutrirsi”, cedendo il campo a chi nell’urlata esaltazione di conoscenze acquisite e inoppugnabili, “ingurgita” riempiendosi lo stomaco di effimere “perle gastronomiche”.

I commensali un tempo esprimevano il ringraziamento al Signore per il cibo che si apprestavano a ricevere, oggi il cibo pare abbia perso il suo vero significato, cedendo il fascino alle tendenze e al palato esageratamente raffinato dei consumatori moderni.


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