Riforme, riforme, riforme: ripete ossessivamente il proprio refrain il Premier Renzi dai tanti salotti televisivi che, con l’avvento dei primi bagliori d’autunno, hanno riaperto i battenti. Fatti due conti: largamente impostata la riforma costituzionale (leggasi abolizione del Senato…), in parte orientata la nuova legge elettorale, all’inizio dell’anno prossimo occorrerà ripensare al successore di Giorgio Napolitano sul Colle del Quirinale.
 
Lui, il Presidente, classe ’25, l’undicesimo, primo inquilino della storia della Repubblica, in carica ininterrottamente dal 2006 – quando subentrò a Carlo Azeglio Ciampi – aspetta serenamente l’interruzione del suo secondo mandato. Fu chiarissimo, Napolitano, quando, nell’aprile del 2013 – davanti alle turbolenze della politica, incapace di scegliere un suo successore – venne rieletto a furor di popolo, al fine di dare un minimo di stabilità al Paese.
 
“D’accordo, rieleggetemi” – disse – ma mica penserete che io resti in sella fino al 2020… Avrei 95 anni, per favore… Provvedete a riformare in fretta l’Italia e, a quel punto, io mi tirerò indietro. Ben prima della scadenza del 2020 del mio secondo mandato”.
 
Una sorta di patto non scritto i cui risvolti, adesso che Renzi e le forze politiche stanno oggettivamente riformando il Paese, tornano prepotentemente a galla. Le feste di Natale, il discorso alla Nazione dell’ultimo dell’anno, poi, dal prossimo gennaio, ogni giorno sarà buono per firmare il documento di dimissioni, tornando a vivere, con la moglie Cloè, nel luminoso appartamento di via dei Serpenti, a due passi da via Nazionale, dedicandosi alle letture, ai nipoti e,  magari, a un libro di memorie.
 
Ovvio, allora, davanti a questi scenari, che la corsa alla successione di Napolitano – da perfezionare anche prima della prossima primavera – sia prepotentemente ripartita. Ne hanno discusso Renzi e Berlusconi in recenti incontri, svoltisi prima della quiete estiva e al ritorno dalle brevi vacanze. Una rosa di nomi, di potenziali candidati, sarebbe già stata abbozzata.
 
Il sogno del Premier (ma anche di Berlusconi che mai ha sottaciuto tale speranza) è che sul Colle più alto di Roma, per la prima volta nella storia, possa mettere piede una donna. E qui, oggettivamente, il cerchio si restringe oltremodo: godono consensi trasversali (ovvero anche da parte dell’opposizione all’Esecutivo Renzi) l’attuale Ministro della Difesa Pinotti e la senatrice Finocchiaro, esponente sempre di spicco (seppure con ruoli più marginali rispetto al passato) del Partito Democratico.
 
Sarebbe, per un Paese ingessato come il nostro, perennemente allergico alle novità, una svolta epocale. Una donna Presidente della Repubblica: è l’aspirazione (comune) alla quale starebbero lavorando gli “sherpa” di Renzi e Berlusconi, il Governo e l’opposizione, al fine di tratteggiare una figura condivisa, che, una volta ufficializzata, possa essere eletta alle prime votazioni del Parlamento, senza essere “bruciata”.
 
Le candidature maschili, chiederete. In assoluto ordine sparso: D’Alema, Veltroni. Oppure Giuliano Amato. O, ancora, Enrico Letta, ancora scosso per essere stato disarcionato da Palazzo Chigi, lo scorso febbraio, proprio dal Segretario del suo stesso Partito. Nomi di prestigio, ma che sembrano partire in seconda fila: pare davvero che Renzi e l’opposizione lavorino alacremente per la scelta di una donna a capo della Repubblica. Congedando Re Giorgio tra pochi mesi.
 

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