Il 28 agosto, come tutti gli anni dal 1294, all’Aquila, la nostra stupenda città “di fondazione”, fondata cioè con il concorso dei Castelli vicini, che mantennero – circostanza storica forse più unica che rara – una loro traccia fuori e dentro le mura urbane, si celebra la Perdonanza Celestiniana. Si tratta di un evento eminentemente spirituale, una sorta di giubileo permanente voluto dal genio cristiano di un eremita, Pietro da Morrone, diventato papa con il nome di Celestino V ed incoronato, per sua volontà, nella suggestiva chiesa di Santa Maria di Collemaggio.

Fu pontefice per pochi mesi, ma che importa? La Bolla del Perdono regalata alla sua città e al mondo (autentica benedizione “urbi et orbi”) basta da sola a qualificare un pontificato e a dare il senso di uno stile di governo delle anime. Forse non tutti sanno che l’eremita del Morrone, dopo la sua morte, per diventare “San Pietro Celestino” dovette subire ben due processi canonici. Nel primo, concluso nel 1313, si intese accertare la sua santità fino alla vigilia della elezione a papa; mentre nel secondo processo, avvenuto all’inizio del XVII secolo, si prese in esame la sua vita a partire dall’elezione a papa e dalle sue dimissioni e fino alla morte.

Insomma, dapprima fu solo “San Pietro da Morrone” e fu dichiarato “confessore”, cioè testimone eroico della fede, ma non “martire”, come avrebbe voluto il suo antico protettore Filippo il Bello re di Francia, che desiderava, in odio a papa Bonifacio VIII e alla sua politica, che si considerasse martirio ciò che Celestino, recluso in una cella del castello di Fumone, dove morì il 19 maggio 1296, aveva subìto ad opera del suo successore e dei suoi sgherri.


Solo molto tempo dopo – dovranno trascorrere ben tre secoli – diventò per la Chiesa anche “San Celestino V”. Si ha l’impressione che gli uomini di Chiesa, che spesso sono anche uomini di mondo, guardassero con sospetto alle dimissioni da papa, giudicate forse incompatibili con l’alta missione del pontificato. E’ successo anche ai nostri giorni – sia pure con una visione esattamente opposta a quella dei giudici di Celestino – con un altro papa, lontano successore, ed emulo, di Pietro da Morrone, dapprima etichettato da una stampa superficiale come “reazionario”, e poi, all’indomani delle sue dimissioni, riabilitato dalla stessa stampa come “rivoluzionario”.

E’ la prova che il Cristianesimo, per chi voglia prenderlo sul serio, sfugge alle sole categorie di giudizio umane, essendo un misterioso intreccio di storia sacra e di storia profana, di verità divine e di verità umane. Il Cristianesimo è la sola religione che parla di un Dio che si è incarnato, di un’eternità che si è immersa nella storia degli uomini, e quindi aperta a tutte le possibili incrostazioni.

L’affascinante figura di Pietro Celestino ha molto da insegnare anche agli uomini di oggi. Le cronache del tempo ci dicono che, come avveniva per tutti i solitari dello spirito, più egli si ritraeva dal consorzio umano, più le persone lo cercavano. Ricorrevano alla sua guida e al suo consiglio anche uomini potenti. Non si spiegherebbe altrimenti la fama che aveva acquistato ben al di là della cerchia dei suoi religiosi e la conoscenza che aveva degli odi tremendi che attrraversavano le comunità cittadine.

Da qui il suo messaggio di riconciliazione e di perdono, che non si capirebbe senza altre due verità che il Cristianesimo propone agli uomini: la Comunione dei Santi (la solidarietà nella Grazia che unisce i seguaci di Gesù Cristo in Cielo e in Terra) e il Giudizio Universale, dove, secondo il Vangelo, sarà Dio a giudicare la storia e non la storia a giudicare Dio (e ne vedremo delle belle…). La Perdonanza Celestiniana è un evento spirituale, dunque, con una valenza tanto profonda da oscurare le chiacchiere di chi, anche nella nostra città, ha molto da ridire e assai poco da insegnare. 

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