Il ricordo del primo giorno di scuola, quando le scuole si riaprivano il 1°ottobre, me lo porto dietro come un vecchio santino nel portafoglio che ogni tanto spunta tra le carte, logoro ma ben custodito, che si accarezza con lo sguardo e si ripone con cura. Mi rivedo per mano a mia madre, con una vecchia cartella di cuoio, dono di parenti generosi, più grande del necessario, come se mi dovesse bastare per una lunga carriera. Dentro la cartella sguazzavano matite e pastelli alla rinfusa.

La scuola era in un edificio ricavato in un antico convento di frati francescani, fuori le vecchie mura di cinta del villaggio – Assergi, alla falde del maestoso Gran Sasso aquilano -, un antico castello medievale di cui si conservavano due delle porte di accesso. Le poche centinaia di metri che percorsi quel primo giorno per recarmi a scuola furono una piccola marcia trionfale: tante persone, soprattutto donne anziane, mi facevano gli auguri, come se avessi vinto un concorso e mi accingessi a ricevere il premio. Ebbi la chiara coscienza che per me cominciasse la vera vita, l’inizio di una sfida da lungo tempo attesa.

Un po’ di rimpianto nel lasciare mia madre e subito, tra il confuso viavai di mamme e maestre e dopo aver attraversato un piccolo mare di grembiulini neri e nastri blu, mi ritrovai in una piccola aula che sarebbe stata la stessa per tutti e cinque gli anni del corso. Scoprii che la nostra classe era poco numerosa: in tutto tre femminucce e sei maschietti. Mancava all’appello una bambina di nome Teresa, che era emigrata in Australia con la famiglia, mentre un altro bambino, di nome Peppino, sarebbe partito di lì a poco in America. Erano gli ultimi scampoli dell’ultima ondata migratoria, quella del secondo dopoguerra.

La maestra, ancor giovane e assai graziosa, si chiamava Irma Castri in Vespa. Qualche anno dopo scoprimmo che era la madre di un ragazzo assai bravo a scuola e che aveva cominciato molto presto a scrivere nella redazione aquilana su un importante giornale romano (adesso, è da decenni un noto volto televisivo). I banchi erano ancora di legno e si scriveva con un pennino intinto nell’inchiostro liquido.

La prima lezione di quel primo giorno consistette nel tracciare con la matita delle aste sulla prima pagina di un quaderno. In questa prima prova fui poco brillante. Il disegno non è mai stato il mio forte. Fu nei giorni seguenti, a contatto con le prime letterine dell’alfabeto, che cominciai a sentirmi a casa mia, e da quella casa non sono più uscito…


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