Cent’anni fa, il 16 maggio 1915 nasceva a Roma Mario Monicelli. Attorno ai dieci anni si trasferì con la famiglia a Viareggio, la città del famoso carnevale, a cui resterà talmente legato da alimentare la falsa notizia di natali toscani. A meno di vent’anni diresse il suo primo film, I ragazzi della via Paal (1935). Nel medesimo anno gli venne assegnato il primo premio nella sezione “passo ridotto” alla Mostra del Cinema di Venezia.
Sempre nella città lagunare, nel 1959, Monicelli si aggiudicò il Leone d’oro al miglior film per La grande guerra (ex-aequo con Il generale Della Rovere di Rossellini), incentrato sul primo conflitto mondiale. Interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman, è considerato uno dei migliori film italiani sul primo conflitto e uno dei capolavori della storia del cinema. Un film, questo, che sarebbe tornato in laguna molti anni dopo, nella serata di pre-apertura della 66^ edizione del Festival con la proiezione nell’arena di campo San Polo, evento a cui lo stesso regista partecipò insieme all’allora sindaco della città lagunare, Massimo Cacciari.
Oggi in Italia domina il genere della commedia, troppo spesso con risultati mediocri e infarcito di volgarità gratuite senz’arte né parte. Ma la grande commedia delle zingarate l’ha inventata lui, con Amici miei (1975) e Amici miei atto II (1982) con l’immortale quartetto formato dal conte Mascetti (Ugo Tognazzi), il Melandri (Gastone Moschin), il professor Sassaroli (Adolfo Celi) e il Perozzi (Philippe Noiret). Film cult densi di cultura e popolarità italiana.
Nel corso della sua più che settantennale carriera, almeno una volta, i grandi li ha diretti tutti. Dall’immortale Totò a Gigi Proietti, passando per Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Alberto Sordi, il già citato “clan di Amici miei”, Maurizio Nichetti, Nino Manfredi, etc. Tra le “sue” attrici, non è difficile pensare che un posto d’onore lo abbiano meritatamente rivestito Monica Vitti e Mariangela Melato.
Un grande regista Monicelli, riconosciuto in patria e all’estero.
Sono sette i più che meritati David di Donatello conquistati nella sua carriera (4 come Miglior regista, 2 per il Miglior film e 1 per la Miglior sceneggiatura), più un ultimo David speciale conferitogli nel 2005. In tre occasioni invece si è aggiudicato l’Orso d’argento al Festival di Berlino come Miglior regista per Padri e figli (1957), Caro Michele (1976) e Il marchese del Grillo (1982).
A dispetto invece di 6 nomination all’Oscar al Miglior film straniero, non riuscì mai a portarsi a casa l’ambita statuetta degli Academy.
Da annoverare infine anche i cinque Nastri d’argento (premio assegnato dal Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici Italiani), due dei quali conquistati nel 1986 per la Miglior sceneggiatura e regia per Speriamo che sia femmina.
In occasione del centenario della sua nascita, per commuovere chi l’ha conosciuto e farlo conoscere ai figli dei social network, la Cineteca Nazionale di Roma ha organizzato un omaggio al maestro. Una rassegna con tre appuntamenti quotidiani a partire da metà pomeriggio nei primi quattro giorni di rassegna, e due ciascuno nel corso del weekend per un totale di 16 proiezioni capaci di attraversare la sua immensa filmografia.
È stato così possibile rivedere alcuni dei grandi classici italiani: Totò cerca casa (1949, 90′), Guardie e ladri (1951, 106′) e Gioia (106′). Spazio poi a È arrivato il cavaliere! (1950, 92′), Un eroe dei nostri tempi (1955, 89′) e I soliti ignoti (1958, 100′). A seguire sono tornati sul grande schermo Facciamo paradiso (1995, 108′), L’armata Brancaleone (1966, 119′) e Il marchese del grillo (1981, 132′). Quindi è stata la volta di Parenti serpenti (1992, 106′), La ragazza con la pistola (1968, 99′) e Un borghese piccolo piccolo (1977, 121′). Infine, Viaggio con Anita (1979, 119′) e Speriamo che sia femmina (1986, 119′). L’epilogo della rassegna con il capolavoro de La grande guerra (1959, 138′) e l’ultimo lungometraggio lucidamente diretto da Monicelli, all’età di 91 anni, 4 anni prima della scomparsa, Le rose del deserto (2006, 104′) con protagonisti Michele Placido, Giorgio Pasotti e Alessandro Haber, ambientato nel 1940 durante la campagna d’Africa del regio esercito italiano in Libia.
Negli ultimi anni di vita, capitava spesso d’incontrare il maestro alla Mostra del Cinema di Venezia. Inevitabile che una volta riconosciuto, masse di cinefili si avvicinassero per chiedergli un autografo e simili. Non sempre troppo felice di queste attenzioni, su richiesta di consigli ai più giovani però, non si sottraeva e soleva suggerire di “scrivere” e “scrivere ancora”. Grazie Mario, me ne ricorderò.