Recentemente, Carlo Verdone su “Il Giornale” ed il regista Gabriele Muccino su “Il Messaggero” hanno innescato un dibattito sul futuro del cinema italiano. A tale proposito, vorrei dire che, a giudicare dalle affermazioni dello stesso Muccino e dei talenti che successivamente hanno espresso un parere, la soluzione non è nel loro modo di pensare.
 
Come direttore di una rivista settoriale americana per cinema e Tv internazionale, sono sorpreso, offeso e deluso da anni dall’industria cinematografica e televisiva italiana.
I talenti in Italia ci sono: ottimi registi, fantastici attori, spettacolari direttori della fotografia, geniali costumisti, virtuosissimi musicisti. E questo lo posso dire perché sono in una posizione che mi permette di fare confronti.
 
Ciò che manca in Italia sono: dei produttori che rischino di tasca loro, dei buoni distributori ed il concetto del marketing.
Basta partecipare a qualsiasi fiera del cinema per rendersi conto di quanto amatoriale sia la presenza italiana. Questo quando c’è una presenza, perché con il sistema dei contributi statali molti produttori italiani restano a casa. Dopo tutto i soldi li hanno presi, allora perché sacrificarsi per recarsi a queste stressanti e costose fiere?
 
Ricordo che, alla fiera dell’audiovisivo di Budapest, alcuni produttori e distributori italiani non hanno voluto nemmeno inviare le loro brochure, nonostante l’Istituto per il Commercio Estero avesse coperto buona parte dei costi. All’ultima fiera del cinema di Santa Monica, California, non era presente nemmeno un espositore italiano.
  Carlo Verdone

  Carlo Verdone

 
Si dice che il cinema italiano non si può vendere all’estero. È una scusa. Gli americani vendono ghiaccio agli eschimesi non perché sia migliore del loro, ma perché lo sanno presentare. Infatti, il 25% del costo dei film va speso nella promozione. Le industrie italiane della moda, degli alimentari e dell’arredamento affrontano all’estero una concorrenza spietata, eppure riescono a vendere grazie alla loro abilità di marketing.
 
Si dice che nell’industria audiovisiva italiana non ci siano soldi per la promozione. Ma la volontà? Succede spesso che i distributori mettano in vendita prodotti senza aver prima finalizzato le liberatorie e quindi non sono poi in grado di consegnare il prodotto, facendo irritare ed allontanare quei pochi acquirenti.
 
Si dice anche che il prodotto audiovisivo doppiato non funzioni, anche se poi si osserva il successo mondiale delle telenovele latinoamericane e delle serie turche, abilmente promosse durante le fiere.
Come afferma Marco Bellocchio su “Il Messaggero”: “lo Stato deve aiutare” e, come indicato sullo stesso giornale da Liliana Cavani, “il cinema deve essere preso sul serio dalle istituzioni”, dopo tutto è ció che si fa in Canada ed in altre parti del mondo con successo. Ma in Canada si premia il marketing, non la produzione.
 
In qualsiasi paese in cui l’audiovisivo ha successo, solamente il 50% del costo di produzione viene dal mercato nazionale, il resto deve essere racimolato all’estero (con i contributi riservati per stimolare l’esportazione). Questa è una strada dura e faticosa, ma offre un modello di business vincente perché stimola la creazione di prodotti che vengono apprezzati sulla scena internazionale, e così facendo promuovono il Sistema Italia.
 
Parte della responsabilità è anche da addossare alla stampa italiana, chiamata a raccolta dall’Italia (la stampa estera è rigorosamente esclusa) per presentare accordi vecchi o privi di rilevanza alle poche fiere che vedono la partecipazione di distributori italiani, affinché questi possano far leggere ai loro referenti politici quanto sono bravi. 

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