“Una notte, quando avevo tre anni, fui svegliato da un suono bellissimo, che solo in seguito decifrai come il canto di un carrettiere: fu la mia prima esperienza musicale, quella per me fu “la musica” per molto tempo. Per questo ho iniziato a cantare con quelle canzoni: il cantastorie stava dentro di me, non era una scelta precisa”.
Con queste parole Domenico Modugno, il famoso cantautore pugliese, sposato con Franca Gandolfi, siciliana, e innamorato della Sicilia e della sua lingua (sarebbe riduttivo e inesatto chiamarla dialetto), in un’intervista di parecchi decenni fa, confessava la sua predilezione, allora, per il folclore regionale isolano che traduceva in canzoni, regalandoci spaccati di vita oggi fuori dal tempo e, per chi non ha vissuto quelle esperienze, da ogni immaginazione.
Le sue canzoni/storie parlavano di un popolo semplice, di tradizioni radicate nel territorio e negli uomini che ne facevano parte, offrendoci l’opportunità – grazie ai miracoli che la musica può fare – di perpetrare nel tempo l’immortalità di abitudini, sentimenti, passioni che hanno fatto la storia etno-antropologica di un popolo, quello siciliano, rendendolo unico.
Tra le sue numerose canzoni di matrice folclorica ricordiamo “U sciccareddu” (l’asinello) e “Cavaddu cecu de la minera” (cavallo cieco della miniera) in cui viene esaltata la figura dell’asino e del cavallo, veri compagni di lavoro e, perché no? in tante occasioni anche di svago, di lavoratori che di questi veri e propri mezzi di trasporto si servivano.
Prima che l’automobile, le motociclette o altri mezzi motorizzati li sostituissero, questi fantastici quadrupedi furono fedeli alleati dell’uomo e veri collaboratori nelle loro fatiche.
L’immagine di questi fieri animali ci porta immediatamente alla visione dei carri a cui venivano legati per il trasporto di qualsivoglia merce. Certamente molti di noi ricorderanno il carro che trasportava il ghiaccio, pesanti parallelepipedi avvolti in sacchi di juta, che venivano frantumati in blocchi più piccoli per inserirli nelle ghiacciaie, antenate del frigorifero. Oppure, ne dà ampia notizia lo storico ed etno-antropologo Giuseppe Pitrè, il fruttivendolo ambulante o il venditore di oggetti in vimini, o altri articoli che trasportavano su carri trainati, appunto da asini o cavalli o anche portati a mano.
Ma la tradizione del carretto siciliano, si fa creatività e allora diventa non soltanto mezzo di trasporto e da lavoro, ma assume forme d’ arte di incomparabile valore.
Ubaldo Castrovinci, palermitano, pittore, grafico, scultore, scenografo, incisore e anche fotografo, docente di Discipline Pittoriche presso il I° Liceo Artistico Statale di Palermo sino ad alcuni decenni or sono, ha scritto e pubblicato un libro, corredato dalle splendide fotografie di Mario Cuccia, anch’egli palermitano, per le edizioni Plumelia e stampato presso le Officine tipografiche Aiello & Provenzano – Bagheria(PA), dall’intrigante titolo “L’Architettura del carretto siciliano”.
Intrigante perché quasi sempre si è scritto del valore pittorico del carretto trascurando, invece, l’aspetto della sua componente architettonica.
Il libro di pregevolissima qualità estetica e strutturale,racconta – perché i testi del Castrovinci sono delle vere e proprie narrazioni – il carretto in tutte le sue espressioni. Diventa così uno straordinario viatico per chi voglia approcciarsi alla conoscenza completa di questo mezzo di trasporto che, travalicando la sua funzione primaria ed essenziale di oggetto da lavoro, come già sottolineato, si trasforma, passando di mano in mano, da un artigiano ad un altro, in oggetto di notevole valore artistico.
Esaminato in ogni suo anche più piccolo componente, il carretto viene descritto, fotografato e corredato di disegni esaustivi in ogni particolare, mettendo così a nudo tutto il lavoro artigianale, lungo, complesso, di massima precisione che richiede per la sua efficienza, sicurezza e bellezza.
Oggi è difficile vedere passare per strada un carro se non in occasione di sfilate in cui si possono ammirare in tutto il loro splendore di colori e ricchezza di finimenti.
Il libro di Castrovinci e Cuccia è lui stesso una piccola opera d’arte perché, insieme all’accuratezza della minuta descrizione, rivela un lavoro di ricerca davvero certosino, preciso, ricco di particolari e di descrizioni dell’opera di ogni singolo artigiano, di ogni sequenza del lavoro sino al completamento e alla prova su strada per la verifica del “canto”, della “musica” che le ruote, anzi le boccole delle ruote in movimento generano nel proprio andare per la strada.
32 tavole realizzate da Ubaldo Castrovinci, sono a corredo del libro e illustrano, come in una scatola di montaggio, le fasi di assemblaggio dei pezzi.
Non manca il minuzioso elenco di tutti i componenti e un considerevole numero di fotografie eseguite da Mario Cuccia che, riuscendo a cogliere aspetti tecnici e al contempo artistici, arricchisce il volume di una preziosa documentazione.
Le illustrazioni della scacchiera del carro, dipinte con colori ad olio e perfettamente rifinite dopo un’accurata scelta e “prova” su veline, riproducono le gesta dell’opera dei pupi siciliani o la storia dei santi con particolare attenzione a Santa Rosalia, almeno per quanto riguarda la provincia di Palermo.
Un aspetto sottolineato dall’autore riguarda la collaborazione tra i vari “maestri” che svolgono un vero lavoro di gruppo senza il quale l’esito finale non sarebbe positivo e il carro non avrebbe l’aspetto che, invece, assume una volta finito.
Un vocabolario che illustra la traduzione di tutti i termini dialettali usati e che corrispondono a quelli tradizionali, correda i testi insieme all’elencazione tecnica dei numerosissimi pezzi che compongono il carretto.
Vengono specificate le qualità del legno che viene usato, i diametri delle ruote, la sequenza che porta alle incisioni prima e alla pittura poi anche del più piccolo frammento o accessorio.
Insomma, una vera e propria guida all’architettura di un pezzo di Sicilia quale questo antico mezzo di trasporto, che ha saputo trasformarsi, una volta smessa la sua precipua funzione, in rappresentante di una cultura che affonda le radici nelle profondità del popolo siciliano.
Ambasciatore, dunque, di antiche tradizioni, ci appropriamo delle parole dell’autore per testimoniare ancora il valore di reliquiario della memoria del carretto siciliano.
“Il cavallo è aggiogato, le stringhe affibbiate, le stanghe agganciate, tutto è perfetto e regolare, ogni cosa al suo posto; adesso tutto è pronto. Dopo i saluti di rito ed i ringraziamenti a tutti i valenti maestri, esecutori del carretto; il carrettiere sale con orgoglio sul carretto con i suoi più intimi familiari per la prima uscita col suo nuovo mezzo. Il momento è denso d’emozione, quasi solenne.
Il carretto inizia ora il suo primo percorso ed il carrettiere è orgoglioso e felice. Ma egli forse non sa che, l’amore di persone come lui, per questi splendidi manufatti, ha evitato al carretto siciliano di cadere in un profondo oblio, permettendogli viceversa, di perpetuare nel tempo la tangibile testimonianza, viva e pulsante, di tutti quei valori culturali, forti e imperituri, che da sempre caratterizzano l’anima nobile di questa splendida terra antica: la Sicilia”. E noi non possiamo che ringraziare Ubaldo Castrovinci per questa preziosa opera che ci ha regalato e con la quale ha dimostrato il grande amore che nutre per questa sua, nostra terra.