All’avvicinarsi del Natale, alle raccomandazioni che la mamma sempre preoccupata per noi figli faceva a tutta la famiglia quando dovevamo uscire da soli o intraprendere una attività di un certo rischio, (ma anche a nostro padre nello svolgimento del suo lavoro e nell’esercizio delle responsabilità di capo-famiglia), aggiungeva questa espressione: “… E statevi accorto! Ca ‘i chiesti juorni vanno camminànno i riàvoli”: state bene attenti, ché di questi giorni vanno camminando i diavoli.
Questo avvertimento ce lo sentivamo ripetere solo per la durata dell’Avvento.
Ora, che il diavolo fosse sempre in agguato per tentarci, lo avevamo appreso dal catechismo della prima Comunione; così come sapevamo anche che, nell’agonia della morte, di ogni uomo, Satana e l’Angelo custode si contendessero l’anima.
A dire il vero, tutti i giorni dell’anno nell’Ave Maria recitavamo (e recitiamo): “Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”. Ma che diavoli a schiere se ne andassero in giro nei giorni lieti dell’approssimarsi delle festività natalizie, era un messaggio che ci giungeva dalla coscienza popolare attraverso la voce della mamma, quasi che ci invidiassero la gioia spontanea della fanciullezza all’avvicinarsi del lieto avvenimento della nascita di Gesù.
Dal punto di vista della dottrina, certamente era un fatto plausibile, anche indiscutibile, ma resta che all’epoca non avevamo ancora tanta capacità di discernimento, e poi, per quanto fondata dal punto di vista dogmatico, la notizia non ci veniva dai canali ufficiali, quelli canonici dell’indottrinamento parrocchiale, bensì da quella che a noi appariva una libera elaborazione popolare. Solo l’amore per la mamma e la paura di darle qualche dispiacere ci faceva accettare la sua apprensione e, con essa, l’accorata raccomandazione alla prudenza e alla saggezza.
La scoperta in età adulta di due manifestazioni culturali mi hanno svelato l’origine di quel modo di sentire popolare; entrambe le tradizioni risultano legate al clima, o meglio al folklore, natalizio: una del meridione d’Italia, l’altra di derivazione nordica; tutte e due formatesi nell’alveo della fede cristiana e della devozione ai santi.
La prima è un’opera drammatica, classica del Meridione d’Italia, la Cantata dei pastori, quella sacra rappresentazione del mistero della Natività raccontata come sfondo di una vicenda di uomini (commedia), che si metteva in scena nei giorni dell’attesa del Natale in ogni città del nostro circondario, se non addirittura in ogni parrocchia; alla quale nessuno doveva mancare. Oggi è una preziosa rarità poterla ritrovare in qualche rione di Napoli, o in qualche città della provincia.
La seconda è la festa di San Nicola (6 dicembre), che nei paesi di lingua tedesca si chiama Nikolaus.
La Cantata dei pastori ho fatto in tempo a vederla. Non solo nella mia infanzia e nella mia giovinezza; ma, ancora una volta nel 2007, avendo avuto la fortuna di partecipare ad una replica che si dava durante le feste natalizie nella parrocchia di Sant’Antonio a Castellammare di Stabia.
Il corteo del santo vescovo Nikolaus (san Nicola), che la vigilia del 6 dicembre distribuisce dolci, mandarini e frutta secca ai bambini lungo le strade della città, ho cominciato a frequentarlo invece da adulto, trattandosi di una tradizione viva dei centri della provincia di Bolzano, dove dopo aver formato famiglia, sono andato a vivere. E questa festa è ancora molto partecipata in tutte le realtà sociali dei paesi dell’area geografica di lingua tedesca, compreso, in Italia, l’Alto Adige-Südtirol.
Tutte e due le manifestazioni pubbliche mostrano, fisicamente rappresentata, l’allegoria dei diavoli, impegnati ad ostacolare in tutti i modi la realizzazione del bene. Nello spettacolo teatrale della Cantata dei pastori, ingannando, fuorviando, e minacciando in maniera fastidiosa i personaggi della commedia umana, e le figure della sacra rappresentazione: Giuseppe e Maria, e gli Angeli.
Mentre nel codazzo che si forma al seguito del corteo di Nikolaus vi s’intrufolano sotto forma di Krampus (i diavoli), degli esseri mostruosi mascherati da caproni, che anziché offrire ai bambini leccornie e cose buone come fa San Nicolò, li percuotono a colpi di verghe (sarebbero quelli i bambini che non si sono comportati bene nel corso dell’anno).
Le due scene della rappresentazione del male, proposte alla riflessione della coscienza morale, sono visibili a tutti: o nella sala del teatro, nel caso della Cantata dei pastori; o lungo le strade della città, nel caso del passaggio di s. Nicolò.
È dai tratti comuni di queste due manifestazioni della tradizione natalizia che molto probabilmente è derivato anche il convincimento popolare che faceva dire a mia madre: ‘I chisti juorni vanno camminanno i riavuli”.
Anche se il diavolo, nella forma del serpente, è presente ancora una volta in un’altra rappresentazione simbolica (e iconografica) del periodo natalizio: quella legata alla festa dell’Immacolata (8 dicembre). In questo caso essa trova la sua origine direttamente nella pagina della Bibbia in cui si legge che il Creatore condannò il serpente a strisciare nella polvere e ad essere vinto (calpestato) dalla Donna, la tutta pura.