Oltre 100,000 morti, 2 milioni di profughi e altrettanti feriti e senzatetto. È la realtà catastrofica siriana che anche ora, mentre state leggendo, peggiora inesorabilmente. Questo basterebbe per esortare il pubblico a vedere e sostenere “Border”, il film di Alessio Cremonini, scritto insieme alla giornalista Susan Dabbous.
Se aggiungiamo che è una produzione indipendente, come non se ne vedono da tempo nel cinema italiano, sostenuta in primis dal produttore italiano Francesco Melzi d’Eril insieme ad un gruppo di associati che hanno creduto nel progetto impiegando in maniera diretta le proprie risorse, Ilaria Bernardini, Victoria Cabello e Leopoldo Zambeletti, e che è interpretato da tre attori non professionisti, siriani, ecco che la curiosità aumenta.
Presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, dopo essere stato in una delle più importanti manifestazioni cinematografiche mondiali, il Toronto Film Festival, “Border” è uno dei migliori film visti.
Racconta una storia vera, quella di due sorelle Aya e Fatima che devono lasciare la loro casa e attraversare la Siria per raggiungere il confine con la Turchia. Nel tragitto incontreranno Bilal, un ragazzo che non ha chiari i confini della propria personalità. Per soldi ha compiuto scelte contraddittorie che ora deve tenere nascoste per sopravvivere al suo destino. L’incontro con le due sorelle sarà decisivo per lui e per loro. Insieme affronteranno un percorso ad ostacoli che li porterà alla libertà, anche se sotto forme diverse.
Al Festival L’Italo Americano ha avuto il piacere di intervistare il regista Alessio Cremonini:
Come è nata l’idea di fare questo film sulla Siria?
Non molti sanno che la Siria ha moltissime cose in comune con l’Italia. Damasco dista solo poche ore da Roma in aereo. Apparteniamo allo stesso territorio, siamo Paesi del Mediterraneo e per questo ho sentito il bisogno di raccontare una storia di un Paese simile al nostro e vicino a noi. In seconda analisi, che poi è la motivazione ideale, la Siria, ad oggi, non ha cinema. Un adolescente siriano che vuole vedere un film, che racconti della storia del suo Paese non ha risorse, perciò questa mi sembrava un’occasione perfetta per farlo.
Come vi siete preparati tu e Susan Dabbous (giornalista italo-siriana che da noi scrive per ‘Il Fatto Quotidiano’, ‘Il Foglio’ e ‘Avvenire’) al film?
Dopo aver deciso di fare questo film, sono andato in cerca di Susan e abbiamo subito legato. Da quel momento abbiamo cercato storie e ho incontrato la protagonista, quella che poi è Aya nel film. L’ho incontrata due volte, non potevo registrarla, era terrorizzata e mi ha fatto giurare di non rivelare mai e poi mai la sua identità. Dopo questi incontri con Susan abbiamo scritto la sceneggiatura senza allontanarci mai dalla storia originaria.
Ecco perché il film ha un valore documentaristico. Pur essendo un film, abbiamo voluto raccontare, senza inutili fronzoli, una storia cruda e vera.
Come e perché avete scelto gli attori Wasim Abo Azan, Sara El Debuch e Dana Keilani, tutti alla prima esperienza?
È stato semplice, soprattutto grazie a Susan che conosceva Sara El Debuch, è stata lei a presentarmi Dana Keilani. Poi ho conosciuto Wasim Abo Azan. Tutti e tre incarnavano ciò che stavo cercando e così anche con tutti gli altri attori.
È stato difficile lavorare con loro? Li avete dovuti preparare?
Assolutamente no. Li ho lasciati andare con la loro energia e le loro emozioni che vivono dentro. Loro stessi, in prima persona, hanno vissuto e vivono quelle emozioni. La guerra appartiene al loro Paese, a quello in cui sono nati; le loro case in Siria sono state bombardate, hanno perso fratelli, amici e compagni. Non potevamo lavorare su di loro altrimenti avrebbero perso la purezza che poi ha contraddistinto i personaggi.
Come è stato fare un film che racconta di una guerra non ancora conclusa?
Il film racconta una storia ambientata ad aprile 2012 e lì si ferma. Non potevo farmi coinvolgere dai nuovi eventi. Il metodo è stato quello di non cambiare nulla.
Il film dove è stato girato?
Ovviamente non in Siria. L’abbiamo girato in Italia, nel Lazio, dove ci sono location molto simili ai boschi in Siria.
“Border” sarà mai proiettato in Siria?
Questo non lo so. Intanto facciamolo vedere in Italia dato che questa operazione è meno semplice di quello che si può immaginare, ma sono fiducioso.