In un’epoca di profondi mutamenti, c’è ancora un luogo dove le figure che hanno preso forma nel corso della storia possano essere identificate allo stesso modo? Nel disincanto del mondo, nella perdita di diversità culturale con il rischio che gli individui si imbattano solo in se stessi riducendo drammaticamente la ricchezza dell’esperienza di sé e degli altri, c’è ancora posto per un’ecologia dello spirito che dia valore all’incontro e alla creatività individuale? Può attecchire e svilupparsi oggi un neoumanesimo? E quali sono le condizioni della sua realizzabilità?
L’Umanesimo ebbe origine in Europa durante il Rinascimento e si è prodotto quando si è messa l’Arte al centro delle istituzioni sociali ed economiche. Oggi l’ideale di questa centralità viene riproposto e sondato attraverso i progetti e le risposte dei 120 artisti convocati alla 57° Biennale d’arte di Venezia per dare concretezza al desiderio e al sogno della vivacità dell’Arte.
Spiritualità, infinito, alterità, creatività individuale e collettiva sono i temi di fondo di questa Biennale che si affida all’ottimismo dichiarato della curatrice Christine Macel con Viva Arte Viva che, più che un titolo o una tematica, è un’esclamazione, un’espressione della passione per l’arte e per la figura dell’artista.
Viva Arte Viva è una Biennale con gli artisti, degli artisti e per gli artisti, sulle forme e gli interrogativi che si pongono, le pratiche che sviluppano, i modi di vivere che scelgono, processo dinamico che allontani dalle lugubri previsioni di morte ciclicamente evocate da un esercito di cassandre non appena segnali di crisi anche seri, di creatività soprattutto, si profilano all’orizzonte. Programma seducente che non vuole illustrare una filosofia dell’arte quanto piuttosto sottolineare come, dice Macel, “l’arte può essere l’ultimo baluardo, giardino da coltivare al di là di mode e interessi specifici, alternativa all’individualismo e all’indifferenza”.
La curatrice designata della prossima Biennale, classe 1969, parigina e storica dell’arte, è stata conservatrice del patrimonio e ispettore della creazione artistica Délégation aux Arts Plastiques del Ministero della Cultura francese. Dal 2000 è curatore capo del Centre Pompidou, dove è responsabile del Dipartimento della Création contemporaine et prospective. Una fresca ventata di ottimismo e di speranza arriva dunque dalla Laguna dove dal 13 maggio al 26 novembre si incontrerà tutta l’arte del Pianeta. L’immensa mostra, una sorta di poema epico con un prologo e 8 episodi – ha sottolineato il presidente della Biennale Paolo Baratta – riunisce artisti di ogni generazione e provenienza e si sviluppa, secondo una linea organica più che tematica, in una sequenza di Padiglioni che propongono allo spettatore l’esperienza di un viaggio dall’interiorità all’infinito.
Inaugura il Percorso degli Arsenali il Padiglione dello Spazio Comune con gli artisti che si interrogano sul concetto di collettivo, di comunità in un mondo dove sembrano falliti i concetti di fraternità e uguaglianza. Sul fronte più propriamente intimistico il Padiglione delle Gioie e delle Paure evoca il rapporto con se stessi, le emozioni, i sentimenti, le fragilità, gli impulsi, le paure, l’aggressività.
Seguono il Padiglione della Terra, dove vengono raccontate le utopie, i sogni attorno al pianeta e all’ambiente, il Padiglione delle Tradizioni riunisce artisti che desiderano rifondare e riscoprire il passato aprendo a nuovi valori, il Padiglione degli sciamani racchiude le aspirazioni al sacro di cui si fanno interpreti alcuni artisti. Un inno alla sensualità e all’ebbrezza reinventa il Padiglione dionisiaco mentre il Padiglione dedicato ai colori sarà una sorta di fuoco d’artificio che prelude al Padiglione del Tempo e dell’infinito, riflessione globale sul concetto di Tempo. Un immaginario come proiezione mitica dell’interiorità che si snoda per immagini, simboli, sogni, poesia, creazione artistica, visti concretamente attraverso le opere di 120 artisti, di cui 103 per la prima volta alla Biennale, provenienti da 85 Paesi con quattro new entry: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria, Kazakistan.
Sei gli artisti italiani scelti da Christine Macel: si confronta con temi esistenziali, politici e sociali Michele Ciacciofera, mentre tra musica e pittura si colloca il fiorentino Riccardo Guarneri, classe 1933. Tutto il lavoro di Irma Blank è attraversato da una costante dialettica tra scrittura, disegno e pittura. Nei padiglioni vedremo le opere di Giorgio Griffe (1936) esponente della pittura analitica di fine anni ’60 e quelle di Maria Lai, scomparsa nel 2013 che torna alla Biennale a 39 anni dalla sua prima partecipazione. A Salvatore Arancio (Catania 1974) toccherà chiudere il percorso con l’opera Mind and body body and mind.
Folta la rappresentanza statunitense, a iniziare dalla decana della Biennale, la ballerina e coreografa d’avanguardia Anna Halprin, 96 anni. Sono previsti i californiani Michelle Stuart, Frances Stark, Dan Miller, Dawn Kasper e poi Sam Lewitt, Sam Gilliam, Peter Miller, Rachel Rose, l’artista ecologa Bonnie Ora Sherk, Judith Scott, il provocatorio regista trash di Baltimora John Waters.
A rappresentare gli Usa ai Giardini della Biennale nello storico Padiglione ci sarà Mark Bradford, classe 1961. Accostato a Mimmo Rotella e a Jackson Pollock, l’artista di Los Angeles, che carica i suoi quadri apparentemente astratti con i detriti della vita, creerà un’installazione site specific intitolata Domani è un altro giorno, a cura di Christopher Bedford, Katy Siegel, Eugene V. e Clare E. Thaw.
L’artista affianca al progetto una collaborazione off, che muoverà i primi passi a Venezia durante l’opening della Biennale e durerà sei anni. Un progetto a scopo filantropico pensato con la cooperativa no profit Rio Terà dei Pensieri nata per reintegrare nella società ex detenuti creando per loro opportunità occupazionali. Per Processo Collettivo, questo il nome dell’iniziativa, Bradford aiuterà a sviluppare un negozio su strada che venderà i prodotti artigianali realizzati dai detenuti.
Il Leone d’oro della Biennale d’arte 2015 come migliore artista era andato, ricordiamolo, alla newyorkese Adrian Piper pioniera del concettuale e un premio speciale era stato tributato al Padiglione degli Stati Uniti per l’installazione They come to us without a word di Joan Jonas.