Un itinerario dedicato a chi, trovandosi d’estate sulla bassa costa laziale, volesse lasciare la confusione del litorale per inerpicarsi sui Monti Aurunci, storiche montagne legate alle guerre sannitiche. Ecco allora un percorso che partendo da Sperlonga ci porta attraverso aeree vedute mozzafiato a Itri, il primo paese del nostro viaggio.
Il panorama sul mare visto da questa strada stretta e tortuosa che in pochi minuti si inerpica sul monte ricorda gli scorci dirupati della Turbie in Costa Azzurra. Una massa compatta di calcare, il mare di Ulisse mitico e immenso in fondo mentre gli speroni rocciosi si vanno mano a mano ricoprendo di ulivi, lecci, sugheri, carrubi. Itri grosso centro agricolo non offre grandi emozioni.
La storia certo: già il nome lo ricollegherebbe ad un diffuso culto del Dio Mitra (c’è un mitreo in località San Giacomo), ma anche i veleni di cui sarebbe morto Ippolito De Medici, cardinale stregato dal fascino di Giulia Gonzaga, vera dea della zona o le vicende di Fra Diavolo, Michele Pezza, che fece la guerra ai Francesi del generale Championnet.
Corteggiato e onorato dai potenti del tempo, Fra’ Diavolo venne nominato colonnello da Ferdinando IV, Re Giuseppe lo avrebbe voluto dalla sua parte, ma finì miseramente impiccato sulla Piazza del Mercato a Napoli. Nel centro medievale si visitano le rovine del castello, la chiesa di Santa Maria Maggiore dal bel campanile policromo, la Chiesa di Sant’Angelo del 1000, gli affreschi rinascimentali.
Da Itri per la statale 82 della valle del Liri si raggiunge il Santuario della Madonna della Civita. Merita la deviazione questo grande complesso religioso tenuto dai Padri Passionisti. Qui si recarono in pellegrinaggio San Filippo Neri, San Gaspare del Bufalo, San Leonardo da Porto Maurizio. A venerare la pia immagine dipinta secondo la leggenda da San Luca vennero Papi e Re come Pio IX o Ferdinando II di Borbone e in tempi recenti Giovanni Paolo II. Per una strada tuffata in un fresco bosco di lecci si raggiunge il piazzale, da qui si apre uno splendido panorama fino a Gaeta, il Monte Orlando, si scorgono Ischia e Procida e le isole pontine.
Alla Vergine venuta dall’Oriente (dice la leggenda che due monaci basiliani l’avrebbero chiusa in una cassa durante la persecuzione iconoclasta), sono dedicati innumerevoli ex-voto, testimonianza dei più svariati accidenti, commovente epopea della fede popolare. Si prosegue attraverso un magnifico paesaggio carsico, estremo limite tra i monti Aurunci e gli Ausoni.
Una breve visita a Campo di Mele, dove si rifugiò il 5 e 6 agosto 1534 Giulia Gonzaga l’affascinante vedova di Sebastiano Colonna per sfuggire al corsaro Barbarossa che la voleva rapire e farne dono al Solimano: personaggi divenuti leggenda, impalpabili e sfumati come fossero rappresentati su un antico arazzo o sulle vetrate di una chiesa e ormai avvolti nell’ombra del tempo che fa galoppare la fantasia. Da qui si può proseguire per Pico attraverso una via fitta di boschi e fermarsi a Pontecorvo.
Composto da due nuclei, Civita e Pastine, Pontecorvo è legato alle vicende sanguinarie della famiglia Borgia. Eretta a città da papa Alessandro VI venne donata al figlio Giovanni assassinato dal fratello Cesare Borgia. Dominio dei Francesi prima, poi passata alla Santa Sede, venne distrutta durante l’ultima guerra e poi ricostruita.
Ma ormai si avvicina Aquino, terra natale di San Tommaso.
L’antica Aquinum, nota fin dalle Guerre Puniche, diede i natali anche ad un grande della latinità, Decimo Giulio Giovenale, poeta satirico di umore saturnino e a Pescennio Negro, governatore della Siria sotto l’imperatore Commodo.
Un gioiello architettonico è la Chiesa di Santa Maria della Libera eretta da Ottolina dell’Isola nel 1125 sulle rovine del Tempio di Ercole Liberatore. Un grandioso portico a tre arcate si erge su un’imponente scalinata: marmi antichi, metope e cornici ne compongono la facciata. Dal giardino di platani nel centro del paese si può vedere la grande statua dedicata a San Tommaso, il dottore universale, davanti all’omonima chiesa. Resti di mura, una torre, il palazzo dei conti d’Aquino, ruderi di un tempio romano, di un teatro di età augustea, fregi del Capitolium compongono le rovine dell’antica Aquinum avvolta da un silenzio irreale turbato solo dal frinire delle cicale.
Dopo Roccasecca, paese addossato a una rocca in bella posizione dominante, ci si inoltra per le magnifiche gole formate dal fiume Melfa, chiuse fra le ripide lateriti dei monti Occhio e Campea. Pini, cipressi, macchie di verde intenso sulla candida dolomia rivelano paesaggi di grande suggestione, il torrente è un letto bianco quasi completamente asciutto d’estate, di una strana bellezza, selvaggia e grandiosa. Dopo le gole si raggiunge Casalvieri e, presa la statale per Sora, si arriva al lago di Posta Fibreno.
L’isola galleggiante, già nota a Plinio il Vecchio che ne parla nella sua Naturalis Historia, è la strana meraviglia del lago Fibreno: di forma circolare, 30 metri di diametro, è formata da un intrico di torba, arbusti, radici ed erbe acquatiche e si può spostare, dicono quelli del luogo, con la semplice pressione di un piede. La Rota, così viene chiamata, è da secoli tuffata fra ciuffi di felci, arbusti selvaggi, ninfee in una riserva naturale di grande bellezza. Più corso d’acqua che lago, frammento di una regione fluviale, le sorgenti del lago sono costeggiate da salici piangenti.
Si possono trascorrere ore deliziose in una giornata di grande caldo all’ombra di un salice, bagnando i piedi in una delle tante limpidissime sorgenti che formano il lago e bevendo di tanto in tanto (sì, si può bere) l’acqua freddissima e ristoratrice. Nel vicino ristorante si possono mangiare trote alla brace, capitoni ed anguille.
Dopo la piacevole sosta al lago si può raggiungere Sora e da qui Isola del Liri. Posta fra due rami del fiume Liri, Isola è famosa soprattutto per le cascate, ne parlarono il Momsen e il Gregorovius ed è da sempre fonte di ispirazione per pittori che amano il paesaggio romantico e il pittoresco.