Di fronte a certi cambiamenti che si sarebbe tentati di definire epocali – l’avanzata a passo di corsa nella crescita del mercato cinematografico cinese (che ha superato per numero di spettatori quello americano), la perdita di centralità della sala cinematografica minacciata dallo streaming, l’affacciarsi impetuoso della Virtual Reality ai confini della dimensione filmica tradizionale – gli slittamenti progressivi che pure accompagnano lo sviluppo della forma festival sembrano davvero poca cosa.
Se è vero che il rito festivaliero, definito da paradigmi immutabili come il radicamento in un luogo fisico e la presenza fisica di autori e produttori, rimane nel fondo identico a se stesso (ma è illusorio pensare che possa diventare qualcos’altro da sé), non si può non sottolineare come molte cose in questi anni a Venezia siano profondamente cambiate.
Le sale di proiezione sono state ristrutturate e adeguate agli standard tecnologici più avanzati. La creazione di Biennale College ha prodotto risultati di eccellenza, che ne hanno fatto in poco tempo un modello di riferimento per analoghe iniziative e contribuito a lanciare nuovi autori nel circuito internazionale. La possibilità di vedere online buona parte dei film di Orizzonti in contemporanea con la presentazione veneziana allarga i confini dei potenziali fruitori della Mostra, utilizzando le inedite potenzialità del web.
La creazione di un ‘mercato leggero’ è servita a riportare al festival gli operatori commerciali che in epoche recenti potevano permettersi di saltare l’appuntamento veneziano.
Altri cambiamenti sono in atto, a conferma delle intenzioni di procedere lungo la direttrice di una progressiva trasformazione, anche se prudente e aliena da irrealistiche ambizioni.
Cambia, e non di poco, quel mercato di cui si è detto, che sin dal nuovo nome – Venice Production Bridge – manifesta la propria natura di spazio virtuale prevalentemente dedicato all’offerta di progetti selezionati in cerca di finanziatori e coproduzioni. Per di più, non limitato ai film ma aperto alle nuove forme narrative e ai nuovi media: i documentari, le serie televisive e quelle destinate al web, la Realtà Virtuale.
Nasce una nuova sezione, che mantiene il nome dell’esperimento effettuato con successo l’anno scorso – Cinema nel Giardino – ma cresce in dimensioni e portata. Favorita in ciò dalla nuova sala che la copertura dello scavo (che ha deturpato per anni l’area prospiciente l’edificio del Casinò) ha portato in dono con sé, arricchendo il ventaglio delle strutture a disposizione.
Una nuova sezione, che non risponde solo all’esigenza di ospitare qualche film in più (una scelta apparentemente in contraddizione con la più volte dichiarata volontà di mantenere il programma più snello possibile), ma si propone di ampliare i confini di ciò che si può e si deve mostrare in un festival.
In direzione di quel pubblico che la Mostra non ha mai tenuto fuori dai propri ambiti e orizzonti, ma che può e deve ancora crescere, se si vuole che la trincea progressivamente scavata fra cinema d’autore e cinema popolare – una dicotomia che speravamo di esserci lasciata alle spalle da molto tempo, e invece rilanciata in anni recenti da un mercato in evidente affanno – possa essere nuovamente colmata, con il contributo di tutti.
Le serate del Cinema nel Giardino, gratuite e aperte a tutti, offrono un ventaglio articolato di proposte di film diversi ed eterogenei, che hanno in comune la più o meno sotterranea intenzione di rivolgersi ad un pubblico il più vasto possibile, annullando o riducendo le distanze fra spettatori cinefili e quelli che cercano in primis un’occasione di intrattenimento non banale.
Non è mai stato vero che i festival, e in particolare la Mostra di Venezia, s’interessano solo ai film che il grande pubblico invece ignora. La contrapposizione esiste solo in certe semplificazioni strumentali. Ma se è vero che non avrebbe senso dedicare il concorso della Mostra a film che non hanno bisogno della vetrina e della promozione di un festival (che per definizione è dedicato all’arte cinematografica), è altrettanto vero che oggi s’impone un’altra considerazione.
Esiste un cinema non strettamente riconducibile alle istanze autoriali più radicali, che si propone di proseguire lungo il sentiero tracciato da quel cinema che un tempo si definiva ‘medio’ e che oggi non sappiamo più come chiamare, proteso (magari confusamente) alla ricerca di modalità narrative capaci di coinvolgere un pubblico più vasto di quello (sempre più limitato) che frequenta ancora i cinema d’essai.
Un cinema che non intende cedere le armi alla volgarità imperante, non si adegua alle semplificazioni del prodotto ‘usa e getta’, non rinuncia ad essere racconto del presente, divertissement intelligente, spettacolo per molti. Un cinema che merita oggi di essere sostenuto e incoraggiato, difeso e promosso, almeno quanto quello che per comodità continuiamo a chiamare d’autore. I festival servono anche a questo.