Ci si può solo lasciare andare ai ricordi leggendo il libro di Sergio Audino, medico palermitano e oggi anche scrittore non soltanto di testi specialistici ma anche di romanzi (sinora) autobiografici. “Erano altri tempi” per  Dario Flaccovio Editore è, infatti, la sua seconda fatica letteraria e già il titolo la dice lunga sul contenuto.
 
Dopo un’attenta, precisa, esaustiva, profonda analisi e disanima del testo, scritta dalla professoressa Lea Di Salvo che ha saputo cogliere quanto di più intimo e profondo si cela dietro ogni singola piega del libro di Audino, l’Autore ha voluto compiere un excursus nel tempo chiamando a testimone perfino la Bibbia, citando un estratto dai libri profetici e sapienziali dell’Antico Testamento che così recitano:
  La copertina del libro

  La copertina del libro

 
“C’è un tempo per ridere e un tempo per piangere, un tempo per piantare e un tempo per raccogliere… Sii allegro ma saggio, o giovane, nella tua adolescenza. Nei giorni della tua giovinezza sia nella gioia il tuo cuore e tienilo sgombro dalla malinconia, perché giovinezza e adolescenza sono un soffio, come tutta la tua vita”.
 
Il libro racconta la vita di una città, Palermo, vista attraverso gli occhi dell’Autore che non risparmia alcun ricordo, che sembra rovesciare quanto di più profondo riesce a tirare fuori dai cassetti della sua memoria per restituire al lettore una città vista attraverso gli occhi di chi l’ha vissuta, riuscendo perfino a traghettarla nel tempo come se fosse ancora la stessa di 30, 40, 50 anni fa.
 
E sono allora le voci dei venditori ambulanti che sfuggono dalle pagine, che sono testimoni di una vita che sembra contemporaneamente un attimo appena dietro e insieme molto lontana perché troppo diversa dalla realtà di oggi dove le frasi, i sorrisi, le liti si consumano a suon di sms, e-mail o quanto di più distaccato fisicamente si possa immaginare.
 
E allora riusciamo a sentire il fischio del “Vapore di Napoli” – così era chiamato il traghetto per la città partenopea – dalla casa dei genitori di Sergio, oppure il lento e fragoroso girare delle ruote del grande carro che trasportava i blocchi di ghiaccio, avvolti nei sacchi di juta che ne mantenevano quasi intatta la consistenza, da collocare nelle ghiacciaie, antico sostituto dei più moderni frigoriferi che nelle calde estati palermitane erano refrigerio contro il caldo africano che il mese di agosto portava con lo scirocco da esotiche mete immaginate e sofferte.
 
Ed è anche un giro turistico per la città, un ritrovare antichi luoghi di incontro, i caffè che non ci sono più, le vetrine scomparse di negozi che hanno fatto un’epoca, le pasticcerie, il mitico “Pinguino”, a pochi metri dal Teatro Politeama, dove si consumavano le bibite più buone del mondo e sui cui scaffali erano schierate affascinanti bottiglie colorate contenenti dolci succhi da gustare masticando, dove rimanevano sempre sul fondo, pezzetti di ghiaccio, ristoro e goduria per palati assetati e desiderosi di dolciastre sensazioni. Che dire poi del “latte di mandorla” o dell’ “autista”, miracolosa bibita che prometteva e permetteva di digerire qualunque piatto succulento e poco adatto a stomaci sensibili?
 Album di figurine anni 50/60

 Album di figurine anni 50/60

 
Ma non c’è rimpianto nelle parole di Audino, c’è un raccontare fluido, semplice, che arriva dritto alla memoria e quindi al cuore che, come dice l’Autore: “Ricordare, infatti, etimologicamente significa riportare al cuore, che in un lontano passato veniva ritenuto la sede della memoria”.
 
I ricordi sono fatti anche di odori ed è quello della mandorla che ci riporta alla mente la colla con cui venivano attaccate le figurine nei riquadri degli album dei calciatori o di altri eroi dei bambini e rivedere il pennellino bianco le cui setole erano tenute saldamente insieme da un cilindretto di latta è un tutt’uno.
Ma ci sono anche altri ricordi legati ai profumi e sono quelli delle gustose pietanze che preparava la mamma, che si cucinavano in casa o che si assaporavano per strada, il “brociolone”, sorta di grosso involtino di carne – detto anche falsomagro- ripieno di uova sode, pangrattato rimescolato con formaggio grattugiato, pezzetti di salame, prosciutto, il tutto innaffiato con olio d’oliva e un po’ di salsa di pomodoro, per dare la giusta morbidezza, arrotolato e fermato con dello spago da cucina per evitare la fuoriuscita dell’impasto.
 
Come non ricordare la spiaggia di Mondello, lido dei Palermitani, irrinunciabile passerella di costumi, di sorrisi ammiccanti e sguardi languidi per giovani fanciulle e giovanotti che sbirciavano tra una capanna (così ancora oggi vengono chiamate le cabine poste sulla sabbia come spogliatoi) e l’altra, le sinuose pudiche nudità di giovani corpi?
 
Un pensiero va pure ai giornali letti in casa, ai libri, alla scuola, ai compagni, una passerella di sensazioni che non sono estranee a nessuno di noi che ha vissuto quei tempi e, anche se i luoghi possono non essere gli stessi, i ricordi ce li fa sembrare nostri, perché la bravura dello scrittore è proprio questa: fare credere che ciò che ha scritto appartiene a chi legge.
 
Continuando il percorso a ritroso nel tempo Sergio Audino si lascia andare sempre di più ai giochi della memoria e la vita della città è sempre più legata alla sua. E allora ripercorre il tempo della scuola, dell’università, la laurea in medicina e la voglia di “qualcosa di più”, di qualcosa da dare in più – forse perché giovanissimo ha perduto troppo prematuramente la sorella – lo spinge ad andare in Africa, come medico missionario.
 
E non si risparmia in fatica e amore finché non torna a Palermo, nella sua città a regalare la sua opera ai siciliani. È un po’ più di un medico, si dedica alla didattica, alla ricerca, scrive testi scientifici, ma la vita non è sempre gentile con chi la ama.
 
Nel 2010 esce il suo primo libro, autobiografico anche questo, “Le mie sette vite. Chiamando cancro il cancro”, sempre per Dario Flaccovio Editore, in cui l’Autore racconta del suo percorso come paziente e insieme come medico, all’interno di una delle più devastanti esperienze, uscendone però non sconfitto, ma pronto a riprendere in mano la sua vita tutte le volte che la malattia o altre circostanze avrebbero potuto abbatterlo.
 
“Erano altri tempi”, dunque, lo si può considerare come un viaggio all’interno del proprio io dove da viatico fa la memoria e ripercorrere le tappe della propria città e dei propri ricordi è un tutt’uno, una sorta di simbiosi in cui due protagonisti, la città e Audino, si confrontano per trovare ora continuità ora discrepanze e differenze tra quello che è stato, che era ieri e quello che è l’oggi, il presente, non dimenticando mai che la memoria, il nostro vissuto sono l’unica realtà, l’unica certezza della nostra attuale esistenza, di uomini e di quell’insieme di anime che chiamiamo città.
 

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