La splendida cornice dell’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles si tinge di giallo con la retrospettiva dedicata ai poliziotteschi degli anni settanta curata da Alessandro Ago, professore e direttore artistico degli eventi speciali dell’USC, School of Cinematic Arts di Los Angeles. 
 
Una serie di appuntamenti con il cinema di genere italiano che farebbe la gioia di Quentin Tarantino, il quale ha più volte dichiarato che “I padroni della città” di Fernando Di Leo è il film che, più di tutti, lo ha spinto a intraprendere la carriera di regista. E proprio da Di Leo si parte con la proiezione evento di “Milano Calibro 9” in una copia eccellente che ripristina i dialoghi originali, curata per l’uscita in Blu-ray da Raro Video. 
  Film noir-poliziottesco del 1972, scritto e diretto da Fernando Di Leo 

  Film noir-poliziottesco del 1972, scritto e diretto da Fernando Di Leo 

 
Si tratta del primo capitolo della trilogia del milieu del regista che uscì nel pieno di un’era di violenza nelle piazze, i cosiddetti “anni di piombo”. Fu una decade, quella degli anni settanta, funestata dal rapimento di Aldo Moro e da numerosi atti di terrorismo, come la strage alla stazione di Bologna nell’agosto dell’80, uno degli episodi più bui e drammatici avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra. 
 
Spesso il governo trovava nei movimenti anarchici il capro espiatorio, mentre il proletariato cresceva disincantato dalla classe politica. In tale contesto fioriva il cinema di genere italiano che seguiva il periodo florido della fine anni sessanta, il punto più alto del mercato cinematografico italiano a livello commerciale, quando il cinema di casa nostra predominava sulla controparte americana. 
 
Ecco, quindi, che la violenza degli spaghetti western cambiava scenario, spostandosi alle strade delle metropoli urbane. 
 
L’ispirazione nasceva dai classici americani, quali “Serpico”, “L’ispettore Cal-laghan”, “Il braccio violento della legge”, tutti film caratterizzati da tutori della legge inclini alla giustizia privata. In “Milano Calibro 9” i protagonisti sono criminali dalle mille sfaccettature, per i quali non si può che simpatizzare e giustificarne le azioni. 
 
Di Leo prende spunto dal romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco per un personale discorso sociologico sul mondo della criminalità organizzata e su quello delle forze dell’ordine schiave della classe dirigente. 
 
Ottima la scelta degli interpreti, a cominciare da Gastone Moschin, trasformato da comico nell’eroe d’azione Ugo Piazza, fino a Mario Adorf, nei panni del violento e sardonico Rocco Musco. A completare il quadro la colonna sonora incalzante ad opera di Luis Bacalov, il quale collaborò a molte pellicole del periodo, per poi vincere l’Oscar per un film diametralmente opposto come “Il Postino”. 
 
ALESSANDRO AGO – Al termine della proiezione Alessandro Ago ci ha rivelato come è nata la sua passione per il cinema e cosa l’abbia spinto verso questo sottogenere italiano, un po’ bistrattato all’epoca, ma diventato di culto col passare del tempo. “I miei genitori sono divorziati, mia madre vive a Washington e mio padre a Roma. Sin da piccolo andavo spesso a trovare mio padre, trascorrendo anche tre mesi di fila in Italia. Andare al cinema era come ritrovare la familiarità dell’America, anche se voleva dire vedere i film doppiati e con l’interruzione tra primo e secondo tempo. Così è cresciuta la mia passione per il cinema. In seguito uno dei miei primi lavori è stato come cerimoniere all’archivio internazionale di cinema, che mi ha permesso di avvicinarmi alle pellicole straniere. E ovviamente c’erano i film italiani. 
 
Ricordo ancora quando ho visto “Nuovo Cinema Paradiso” per la prima volta, al cinema Farnese di Campo de’ Fiori. 
Mi sono laureato con un master in Storia e Critica del Cinema, a quel punto tendevo già verso un cinema d’autore, indipendente e internazionale. 
 
Quando si è presentata l’occasione di curare la programmazione di proiezioni all’USC, mi è venuto subito in mente come gli studenti identifichino ogni nazione con un film simbolo, ad esempio “Ladri di biciclette” per l’Italia. E mi sono detto, perché non tenerli al passo con i tempi, con le nuove produzioni da tutto il mondo? 
Lo scorso anno ho tenuto un seminario sul cinema italiano, che andasse oltre il neorealismo del quale erano già a conoscenza. Siamo partiti dal peplum di Maciste nella valle dei re, proseguendo con gli spaghetti western e gli horror di Mario Bava. Quando siamo arrivati all’azione violenta ho notato un tale entusiasmo da parte degli studenti da spingermi a condividerlo con un pubblico più ampio”. 
 
Il germe dell’idea deriva inconsapevolmente dall’aver visto la band Calibro 35, reinterpretare le colonne sonore di film italiani anni ‘70, suonare a Los Angeles in occasione di (H)it Week. 
 
“È stata la prima volta che ho davvero prestato attenzione alle musiche. Fino a quel momento ero concentrato su western, commedie e horror, ma da lì è partita la mia predilezione per la cinematografia italiana degli anni settanta”. 
 
In conclusione abbiamo chiesto ad Ago un suo parere su come Hollywood vive il cinema italiano di oggi. 
“I film italiani degli ultimi dieci anni sono stati perlopiù drammi psicologici introspettivi. La vittoria de “La Grande Bellezza” agli Oscar avrà un forte impatto sulla percezione di Hollywood. I film di Sorrentino sono tutti molto sontuosi e caratterizzati da una voce d’autore distinta. Ma ci sono tanti registi contemporanei meritevoli: Matteo Garrone, Tornatore fa ancora grandissimi film, Nanni Moretti viene ancora distribuito negli Stati Uniti. 
 
Credo che “La Grande Bellezza” per il pubblico americano sia un’esaltazione di come il cinema possa rappresentare un’opulenza artistica ed un’attenzione al dettaglio nel creare i personaggi”. 

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