Nell’immaginario collettivo la donna dell’Ottocento, facoltosa e aristocratica, è vista esclusivamente come dedita ai lavori di ricamo, alla lettura di versi poetici che fanno sognare e di avvincenti romanzi d’amore, alla pittura, agli esercizi al pianoforte e alle danze nel corso di feste lussuose o alle passeggiate a cavallo. Una figura femminile preoccupata di apparire al meglio per conquistare “il principe dei sogni”, magari “ipotecato” per lei dalla famiglia. Una donna frivola, senza determinazione nè coraggio, con una cultura modesta, che ha bisogno di un padre o un marito che la proteggano e le dicano cosa deve fare o dire. La politica, la società, la realtà quotidiana naturalmente non rientrano nei suoi interessi perché è solamente l’uomo che ha l’intelligenza, l’autonomia economica, la collocazione sociale, la grinta necessarie per tale ruolo. Neanche la Storia la ricorda se non come figlia, consorte, madre di questo o quel personaggio famoso…Niente di più errato!
Il Risorgimento italiano, se lo studiamo con attenzione, fu fatto da donne che si resero protagoniste del processo di cambiamento: alcune furono attivamente al fianco dei loro uomini e figli, raccolsero fondi, si improvvisarono infermiere, portarono armi. Altre furono condannate e finirono in carcere. Donne che non esitarono a prendere parte a manifestazioni, insurrezioni, battaglie, nel corso delle quali furono ferite, fatte prigioniere e uccise. Donne che organizzarono ospedali, fondarono giornali, scrissero versi e drammi. Tra loro ci fu Cristina… Trivulzio (i puntini di sospensione indicano gli 11 nomi che alla nascita le furono attribuiti) nata a Milano il 28 giugno del 1808.
È necessario aprire una parentesi su questa nobile famiglia. Oggi a Milano, in piazza S. Alessandro 6, zona Missori, si può ancora ammirare, il palazzo di origini medioevali di sua appartenenza, ampliato e ricostruito dal 1707 al 1713. All’interno di questa sontuosa abitazione gentilizia, al piano nobile, introdotto da un’ampia scala a doppia rampa, si trova il salone d’onore, mentre la ricchissima Biblioteca Trivulziana oggi ha sede nel Castello Sforzesco del capoluogo lombardo insieme alle raccolte d’arte, anch’esse provenienti dalla famiglia Trivulzio. Ricordiamo che la città di Milano vanta tre superlative Biblioteche: Ambrosiana, Braidense e Trivulziana. Tra le opere in essa conservate desta somma ammirazione il “Codice Trivulziano di Leonardo da Vinci”, raccolta di disegni e scritti databili tra il 1478 e il 1493.
Ma torniamo a Cristina: a 16 anni sposa contro il volere di tutti (era noto il comportamento superficiale, inaffidabile, nonché libertino, del giovane) l’affascinante Emilio Barbiano di Belgjoioso. La fanciulla gli porta in dote una cifra pari a 4.000.000 di euro attuali (anche se è piuttosto difficile fare una proporzione), ma, nonostante questo, il matrimonio dura pochissimo perché il consorte si innamora e fugge con l’affascinante contessa Anne de Plaisance a Villa Pliniana, a Torno, sul lago di Como, di cui parleremo poi. Siamo alla fine del 1820 e Cristina è sempre più coinvolta nei movimenti di liberazione di Milano dalla prepotenza degli Austriaci. Minacciata, è costretta a fuggire in Provenza, ma qui rimane completamente priva di mezzi di sostentamento in quanto i suoi averi vengono “congelati” dagli Austriaci. Soprattutto è sola e molto giovane. Ma, come sempre, anche le situazioni più buie presentano un aspetto positivo, una piccola luce. In tale frangente Cristina manifesta il suo coraggio e la sua determinazione: si rialza, si rimbocca le maniche e parte per Parigi dove si mantiene dando lezioni di musica e ritraendo personaggi famosi.
Dopo poco tempo, in parte con i suoi risparmi, in parte con una piccola cifra inviatale di nascosto dalla madre, si trasferisce e apre uno di quei salotti d’aristocrazia (ricordiamo quello famoso, anch’esso parigino, di Madame de Staël), dove riunisce esiliati italiani e borghesia europea. Negli anni ’30 frequenta il poeta tedesco Heine, il compositore ungherese Liszt, il musicista Bellini, lo storico francese Mignet, il poeta francese A. de Musset e tanti altri. Ha una fitta corrispondenza con Lafayette, vecchio generale protagonista della Rivoluzione francese e ispiratore della guerra di Indipendenza americana. Nel corso di 10 anni contribuisce alla causa italiana, cercando di influenzare i potenti, scrivendo articoli e diventando addirittura editrice di giornali politici. Le arrivano di continuo richieste di denaro e lei si impegna oltre ogni misura per aiutare gli esuli italiani, di cui era diventata la referente parigina, finanziando sommosse o addirittura organizzando moti di ribellione in Italia.
Dopo la nascita della figlia Maria per un anno resta a Parigi, quindi torna in Lombardia, a Locate (oggi Locate Trivulzio), dove inizia la fase più “umanitaria” della sua vita: fonda asili, scuole, uno scaldatoio pubblico, trasforma il suo palazzo in uno falansterio, dona la dote alle fanciulle più povere. Si occupa dell’organizzazione degli ospedali nei momenti di peggiore oppressione da parte dei prepotenti stranieri.
E qui balza evidente ai nostri occhi il parallelismo con Florence Nightingale, “la signora con la lanterna” (1820/1910), borghese britannica, nata a Firenze (di qui il nome), nipote dell’abolizionista W. Smith e fondatrice dei moderni metodi infermieristici, che sfidò pericoli, guerre, privazioni. Essa rinunciò ai suoi averi, ad un matrimonio che le avrebbe consentito di proseguire una vita agiata, si mise contro la famiglia per rimanere fedele ai suoi ideali: aiutare il prossimo sia con un’assistenza medico-infermieristica sia con un ausilio psicologico. Nella sua opera “Notes on nursing”, partendo dal presupposto che “la malattia è un processo di riparazione”, raccomanda di agire sull’ambiente per facilitare tale processo, curando, in particolare, la ventilazione, il calore, la luce, la dieta, la pulizia ed il rumore.
Cristina, dopo la fondazione dell’unità d’Italia, quasi dimenticata da tutti, vive sul lago di Como tra la villa di Blevio, che aveva acquistato, la villa Pliniana a Torno che la figlia Maria aveva ottenuto in eredità dal padre Emilio Belgjoioso, dopo che egli l’aveva riconosciuta, e la Villa di Bellagio, possesso del marito di Maria, Ludovico Trotti Bentivoglio. Villa Pliniana di Torno rappresenta per lei il ricordo doloroso della fuga d’amore di suo marito con la nobile Anna de Plaisance, ma è anche la residenza che più l’affascina. La villa è ancora oggi una delle perle più preziose del lago di Como: situata in un’insenatura boscosa, prende il nome da Plinio il Giovane (62 d.C./114 d.C.) che descrisse per primo la fonte intermittente di natura carsica: “Nasce dalla montagna una sorgente, discende attraverso le rocce, si raccoglie in un piccolo vano atto a pranzarvi, tagliato a mano dall’uomo. Dopo essersi un po’ trattenuta cade nel lago Lario”.
Il massimo poeta romantico inglese Percy Shelley, visitando il Lario, s’innamorò follemente di Villa Pliniana e l’avrebbe acquistata di certo, se non fosse stato per gli elevatissimi costi dei restauri. Shelley adorava il lago di Como che per lui rappresentava una continua fonte d’ispirazione, come testimoniano le sue parole: “This lake exceeds anything I ever beheld in beauty…it’s long and narrow, and has the appearance of a mighty river winding among the mountains and the forests”.
Cristina morirà a 63 anni di polmonite a Milano dopo un’esistenza spesa a vantaggio degli altri e afflitta da varie malattie come l’epilessia. Al funerale non partecipa nessuna figura politica di quell’Italia che lei aveva tanto contribuito ad unire. Lo stesso Manzoni, considerandola una rivoluzionaria che voleva rovesciare l’ordine prestabilito, l’aveva messa alla porta quando lei si era presentata per fare visita alla madre di lui ormai moribonda.
Mi piace concludere con un’espressione che Cristina ci ha regalato, testamento spirituale rivolto alle donne: “Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità”.