Villa Olmo a Como (Ph Maurizio Moro5153 -  Wiki Loves Monuments 2019 - CC BY-SA 4.0)
 
 

Il poeta inglese William Wordsworth (1770/1850) della città lariana ammirò “gli elevati pendii, e i sentieri coperti di vigne, serpeggianti da casa a casa, da borgo a borgo, unico legame che unisce gli uni agli altri e i viali claustrali dove il silenzio abita se non v’è musica”. E tra questi incantevoli luoghi da favola spicca per bellezza la maestosa Villa Olmo. Perché Villa Olmo?   Si racconta che un  gigantesco albero pluricentenario (o un bosco di olmi, come ci ricorda lo scrittore latino Plinio il Giovane) abbia regalato il suo nome allo splendido complesso neoclassico fatto costruire per la prestigiosa famiglia Odescalchi sul finire del Settecento. Purtroppo questa pianta oggi non esiste più ma il giardino all’italiana sul davanti ed il parco all’inglese sul retro, sono tuttora ricchi di esemplari secolari e di alto fusto.  

Presso questo bosco di olmi, secondo la leggenda, sarebbe sorta la villa di Caninio Rufo, amico di Plinio il Giovane (61/62 d.C.-112 d.C.) Scrive Plinio a Caninio, mentre lo esorta a dedicarsi all’otium, cioè alla riflessione letterario-filosofica, e a trasformare in eremo di studi la deliziosa villa suburbana in cui viveva: “Che fa Como, tua e mia delizia? Che quell’amenissima tua villetta? Che quel portico dove è sempre primavera? Che quell’ombroso boschetto di olmi? Che quel verde e lucidissimo canale? Che quel sottoposto ed utile lago? Che quel molle e pur saldo stradone per la passeggiata? Che quel bagno tutto quanto riempito e circondato di sole? Che quel tinello per molti, e l’altro per pochi? Che le stanze da giorno e quelle da notte? Ti godi forse a vicenda or le une or le altre? O, come il solito, ne sei distolto da frequenti corse, al fine di attendere ai tuoi negozi ? Se tu ne godi, sei felice e beato ; non sei che uno tra i molti poveretti, se ne fai senza. Anzi perchè non lasci agli altri le basse e sordide cure, per dedicarti agli studi in codesta tua profonda ed amena solitudine? Questa sia la tua faccenda, questo il tuo ozio, questa la tua fatica, questo il tuo riposo; queste siano le tue vigilie, questi ancora i tuoi sonni.   

Medita e componi qualche cosa che sia eternamente tua. Infatti il resto delle tue cose si trasferirà dopo la tua morte d’uno in altro padrone; ma questa, pur che tu l’abbia incominciata, non cesserà d’esser tua in sempiterno. So bene che animo e che ingegno io conforti. Sforzati dunque di venire a te in tale stima, in quale ti avranno gli altri, se saprai pregiare te stesso. Addio”. Questa elegante creatura, l’olmo, quando era ancora in vita, era arrivata a raggiungere  i trenta metri di altezza con la sua chioma conica ondeggiante al soffio della brezza della Breva e del Tivano (i piacevoli venticelli che spirano dal lago di Como); amante della luce, ma non del sole diretto, crebbe forte e bellissima, ma non poté purtroppo assistere al momento in cui prima Napoleone Bonaparte e poi Giuseppe Garibaldi fecero il loro ingresso nella prestigiosa tenuta.  

Fortunatamente un suo lontano parente che veniva dall’estero, un maestoso esemplare di cedro del Libano, ebbe vita più lunga sul retro dell’edificio. La villa richiese ben quattordici anni di intenso lavoro (1782/1796) e passò dagli Odescalchi ai Raimondi e quindi ai Visconti di Modrone finché dal 1925 è divenuta proprietà del Comune di Como che ha avviato in questi ultimi anni significativi interventi sull’edificio, cercando soprattutto di operare sulle pericolose infiltrazioni di umidità che hanno rischiato veramente di compromettere il patrimonio pittorico dei soffitti e i pavimenti.  

A questo punto il nostro olmo sarebbe curioso di ascoltare l’infelice storia della figlia del marchese Raimondi, Giuseppina Raimondi, e il celebre eroe Giuseppe Garibaldi. Cosa accadde? Il marchese obbligò Giuseppina alle nozze con il generale (lei aveva 34 anni in meno), ma il matrimonio, combinato e celebrato nell’altra villa dei Raimondi, a Fino Mornasco, ebbe termine in giornata, in quanto Garibaldi ricevette un biglietto anonimo che lo informava del tradimento della neosposa. Giuseppina venne rinchiusa dal padre dentro le mura di Villa Olmo. 

Cosa avrebbe detto il nostro splendido olmo? Avrebbe provato sicuramente compassione per la triste storia della fanciulla.   Ma questa non fu l’unica sorpresa. Napoleone Bonaparte nel 1797, anno del Trattato di Campoformio, era giunto a Villa Olmo con la moglie Giuseppina (la quale ritornò poi una seconda volta nel 1805) e la sorella Elisa per inaugurare la superba costruzione. E ancora Ugo Foscolo, nel 1808, quando era ospite dei conti Giovio a Villa del Grumello, passeggiò per l’ampio atrio che conduce nel vasto salone del pianterreno, con balconata, attraversò “il salone degli Specchi”, “delle Nozze”, “di Diana”, “della Musica”.  

Ciò che stupisce maggiormente il visitatore è il percorso mitologico: si entra nella maestosa sala da ballo, sulla cui volta appaiono in tutto il loro fulgore gli affreschi raffiguranti la Contesa fra Poseidone e Atena per il dominio sulla città di Atene e Apollo con le nove Muse del suo seguito, risalenti al 1789.  Gli stucchi raffigurano le principale divinità del Pantheon greco: Zeus, Era, Poseidone, Ade, Crono, Rea, Apollo e Artemide.   

Al Foscolo parve sicuramente di passeggiare tra le nubi dell’Olimpo e di essere accolto tra gli dei celesti.  Superato il salone da ballo, una fuga di stanze conduce ad una serie di ambienti destinati alla conversazione, al ricevimento, al gioco del biliardo fino al cabinet de toilette. Sulle pareti, riccamente decorate con stucchi e dorature, alcuni grandi affreschi, ancora una volta con temi mitologici, danno il nome alle stanze che, da questi, vengono anche dette: “di Dioniso”, “di Dioniso e Arianna”, “di Selene ed Endimione”, “di Artemide”. Al primo piano, le decorazioni a carattere leggendario si concentrano nelle sale dedicate all’Olimpo con il medaglione che raffigura l’apoteosi di Eracle. Qui, sul lato che dà verso il giardino, si aprono una serie di fastosi salotti di cui ricordiamo la “Sala di Bacco e di Diana”.  

Era costume delle aristocratiche famiglie lombarde del XVIII e del XIX secolo, proprietarie di ville e palazzi, richiamare, secondo il gusto neoclassico, lo sguardo del visitatore ad immagini di divinità greco-romane: pensiamo alle bellissime opere dell’artista Berthel Thorvaldsen (1770/1844): famosissimo il fregio con “Il trionfo di Alessandro Magno”, o il gruppo marmoreo di Antonio Canova (1757/1822) “Amore e Psiche” (chi non lo conosce?), presenti entrambi a Villa Carlotta, ma pensiamo anche all’impianto complessivo della villa che riflette un particolare sistema geometrico che, con le sue proporzioni, conferisce all’insieme un equilibrio armonioso, secondo le teorie di “bellezza pura” e  “bellezza classica”, enunciate dal teorico dell’arte e archeologo J.J.Winckelmann (1717/1768) pochi anni prima.   Ecco, la città di Como possiede tutto questo, ma soprattutto è naturalmente bella.  Disse di lei William Wordsworth: “And, Como! Thou a treasure whom the earth keeps to herself, confined as in a depth”.


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