Semplice” non è “facile”. Di conseguenza il suo contrario non sarà “difficile”. Se difficile si oppone a facile, quale aggettivo si oppone a semplice?
Partiamo dalla terminologia grammaticale, giusto per avere un linguaggio molto caratterizzato in cui il significato delle parole deve essere preciso e, possibilmente, univoco.
Nel distinguere i tempi del verbo, una prima classificazione è tra tempi semplici e tempi composti. Nella grammatica italiana, i tempi presente, imperfetto, passato remoto, futuro semplice sono definiti tempi semplici; gli altri: passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore sono definiti tempi composti. Così, nella rappresentazione grafica dei prospetti sinottici che troviamo nelle nostre grammatiche, col mostrare i primi da un lato su di una colonna e i secondi, in corrispondenza dei primi, sulla colonna accanto, si cerca di far risaltare, a colpo d’occhio, tutti i meccanismi generativi alla base della coniugazione.
Implicitamente si mostrano, a chi sa usare la logica, quelle che poi saranno esplicitate come “regole grammaticali”. Perciò, restando nell’ambito di questo linguaggio tecnico, già potremmo dire che semplice si oppone a composto. I tempi semplici sono quelli che per ogni voce presentano una sola parola; mentre i tempi composti sono quelli le cui voci sono formate da più di una parola (almeno due), cioè sono formate mediante il verbo ausiliare: avere, essere, venire, diventare.
A dire il vero con rigore scientifico dovremmo dire che i tempi definiti semplici contemplano voci verbali morfologicamente strutturate (cioè una sola parola formata da più morfemi ognuno dei quali, come suffisso, aggiunge la sua parte di significato: tempo, persona, singolare/ plurale). Una parola con tutte le etichette necessarie a caratterizzarla come voce verbale.
I tempi composti poiché non si prestano a questa possibilità, hanno bisogno di utilizzare la voce del verbo ausiliare (essere, avere, venire). Perciò presentano voci formate da due o più parole. Allora come abbiamo detto di chiamare i tempi semplici con la dizione “morfologicamente strutturati”, così i tempi composti vanno chiamati perifrastici.
Se prendiamo in esame la diàtesi passiva (esclusiva dei verbi transitivi), pur continuando a mantenere i tempi, il nome di semplici o composti, constatiamo che i tempi semplici sono formati questa volta da due parole (voce del verbo essere + participio passato. Es.: “era visto”) e i tempi composti hanno, a loro volta, tre parole (voce composta di “essere” + participio passato. Es.: era stato visto). Ancora una volta notiamo la convenzionalità nell’uso del segno linguistico (perché nel caso della forma passiva del verbo anche i tempi semplici presentano voci perifrastiche).
Da tutto questo parlare siamo arrivati, in maniera empirica, a spiegare che in generale “semplice” innanzitutto significa “formato” da un solo elemento, mentre “composto” significa “formato da più di un elemento”. Ma se guardiamo agli elementi che compongono la parola (semplice, da sim-plex), più che “composto” (compositum = messo insieme, assemblato), dovrebbe prevedere come suo opposto “complesso” (cum – plex). Perciò l’opposto di semplice è complesso.
La stessa composizione presentano: “duplice”, “triplice”, “quadruplice”, ecc. (numerali moltiplicativi).
Latino: sim-plex /du-plex / tri-plex / quadru-plex / quintu-plex, fino a com-plex.
Il tutto viene dalla radice indeuropea “sem” e dall’elemento suffissale “plex”.
La radice “sem” è alla base delle parole latine solus (uno solo), semel (una sola volta), e del numerale greco eîs, mía, én (uno, una), che ha già perduto la s iniziale, e corrisponde, come si vede, al latino unus, una, unum (uno, una).
L’elemento “plex” viene da plico (piego) e significherebbe, all’origine, “piega” (avvolgimento su se stesso).
Quindi: una volta, due volte – vedete bene che anche in italiano c’è “il piegare”, espresso dalla parola “volta” – tre volte, ecc., fino a “complesso” (più pieghe).
Da complesso viene anche “complice” (piegato, abbracciato insieme: quindi associato alla stessa sorte, allo stesso destino) e “amplesso” (ambi = di qua e di là, tutt’intorno + plex = avvolto [abbracciato]).