Da ragazzo non mi rendevo conto per quale motivo gli insegnanti di latino ci facessero tradurre  la parola latina “virtus” col vocabolo italiano “valore”; e più precisamente “valore militare”. Eppure i dizionari, come prima accezione del lemma, proponevano l’interpretazione di “valore militare”.
 
Per me era difficile accettarlo, sapendo con quale significato usiamo noi la parola virtù nella parlata quotidiana. E, ancora, conoscendo il giudizio degli storici dell’antichità (a parte Livio) sui soldati, sul loro reclutamento e sulla loro vita. A me sembrava un’aberrazione identificare la forza fisica del soldato, con la “virtù”.
 
Adesso, a posteriori, me ne rendo conto; ricordando che la maggior parte dei testi delle versioni dal latino parlavano di battaglie campali, di imboscate, di movimenti di truppa, di atti di eroismo legati ad azioni di guerra, o di gesti di violenza. 
 
Qualcuno, forse esagerando, ha detto che la storia di Roma è la storia dell’esercito. 
Intanto bisogna riconoscere che “virtus” (virtù) come derivato da “vir” (uomo) non può significare altro che “la prerogativa più peculiare dell’uomo”. Perciò se l’uomo è un soldato la sua qualità sarà evidentemente il valore militare. 
 
Ma se invece è un filosofo (intellettuale) la sua peculiarità sarà la razionalità o la condotta morale. E se è un marito sarà un “bravo marito” in tutti i sensi, ma soprattutto in “virilità”. Considerato quindi che il vir è maschio, la virtus sarà essenzialmente la mascolinità.   
 
Perciò si capisce ora che, cambiando nel tempo l’ideale dell’uomo o la sua attitudine, cambia la rappresentazione delle qualità ritenute indispensabili a renderlo tale. Così è successo che l’applicazione della parola virtus, attraversando il medioevo in cui dell’uomo si è avuta un’idea molto diversa da quella dell’antichità, ha fatto sì che “virtuoso” divenisse  l’uomo religioso. Proprio come nell’antichità lo era il valoroso soldato. 
 
Spostatosi poi l’uso della parola alla sfera spirituale applicata all’anima, di virtù si è parlato anche al femminile. Quasi un ossimoro.
 
Oggi, quando non ci riferiamo espressamente alle virtù morali, siamo costretti a dover precisare la portata della virtus aggiungendo un aggettivo come, per esempio, “virtù civiche”. 
E la stessa parola virtù, per traslato, viene applicata ad elementi non necessariamente umani: “la virtù di una pianta o di un medicinale”.
 
Per avere un’idea di questo mutamento di significato, e coglierne il momento del passaggio potremmo rileggerci il capitolo del Machiavelli dove si parla di Virtù e Fortuna. 
Vedremmo come i due termini: virtù e fortuna, in Machiavelli  conservino ancora la semantica degli antichi.  
 
Tante altre parole, passando da un ambiente culturale all’altro, modificano il loro significato. 
Ne ricordo qualcuna modificata  dal  pensiero cristiano. Vedi: fede (fiducia e fedeltà) diventa “confidenza in Dio”; agonia (gara, lotta) diventa “sofferenza prima della morte”; salvezza (salute) diventa “redenzione”; miracolo (fatto meraviglioso) diventa “intervento divino”; confessione (pubblica dichiarazione) diventa “atto penitenziale”; angelo (messaggero o messaggio) diventa “personaggio mistico, inviato di Dio”; passione (sofferenza) diventa “sacrificio del Cristo”, oppure sentimento amoroso; martire (testimone) diventa “persona eroica fino all’estremo sacrificio”; sacramento (gesto rituale del processo civile) diviene “segno della presenza di Dio nella storia”; demonio (divinità, spirito vitale, destino) diviene “essere spirituale incline al male”. E così tante altre. 
 
Questa piccola riflessione sullo scivolamento del significato (e, in particolare, in presenza e in conseguenza di un mutamento di mentalità), è indispensabile alla comprensione degli autori distanti dalla nostra contemporaneità. 
 
Inoltre, per il poco che ci riguarda, ci ricorda che i vocabolari si devono usare (e consumare, direi) nella stagione ad essi contemporanea. In seguito, devono essere gelosamente custoditi per la loro capacità di documentazione.  
E procurarsene subito di nuovi.                 
 
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