Non è la prima volta che il mare della Sardegna riconsegna i relitti di navi da guerra che, in questo ampio spazio d’acqua, facevano rotta nell’ambito dei due conflitti mondiali.
Al largo di Castelsardo, davanti al golfo di Alghero, venne ritrovata la carcassa della Corazzata Roma. Rividero la luce pure i relitti del Vivaldi e del Da Noli, cacciatorpedinieri della Marina Regia. Poco più su, nelle infide acque delle Bocche di Bonifacio, fu poi ritrovato, dopo decenni, la sagoma del dragamine francese Cassini.
Insomma, c’erano tutti gli ingredienti per riavvolgere la storia di un’altra nave scomparsa. Nei giorni scorsi – grazie al lavoro sofisticato della nave della Marina Vieste, di stanza a La Spezia, specializzata in questo genere di ricerche – è stato avvistato, davanti al golfo di Olbia, a venti miglia da Capo Figari, il relitto del piroscafo ‘Tripoli’, colpito da un sommergibile tedesco in una notte di metà marzo del 1918. Una storia ammantata di mistero e, purtroppo, di morte.
Quasi trecento furono, infatti, le persone che persero la vita in quel drammatico naufragio: tra questi molti militari della Brigata Sassari, rimasti senza nome perché non registrati nei registri di bordo essendosi evidentemente imbarcati pochi minuti prima che la nave salpasse da Olbia in direzione di Civitavecchia. Il ‘Tripoli’ era adibito al trasporto postale e già nel precedente mese di ottobre era stato oggetto di un attacco notturno, condotto da un altro sommergibile tedesco.
In quell’occasione morirono due persone, ma evidentemente il destino aveva deciso che, di lì a poco, il piroscafo avrebbe dovuto inghiottire – portandole in fondo al mare – centinaia di altre persone.
Una storia – come tutti i resoconti della Prima e della Seconda Guerra Mondiale – zeppa di malinconia. Merito della nave Vieste averla riportata alla luce: una magra consolazione per gli eredi di coloro che, quasi cento anni fa, in divisa o in borghese, uomini, donne e bambini persero la vita, annegando o restando incastrati all’interno del ‘Tripoli’.
Era evidentemente destino che l’inizio di novembre dovesse riportare alla luce storie di mare e di morti ingiuste e improvvise. Nel cantiere di Voltri, vicino a Genova, infatti, sono stati rinvenuti – sommersi dal mobilio di una cabina – i resti dell’ultima vittima del naufragio della nave ‘Concordia’, appartenenti a un cameriere indiano, l’ultimo, tra le trentadue vittime, ad avere finalmente, dopo quasi tre anni, una tomba.
Da Voltri a Olbia, quindi, dalla Liguria alla Sardegna: un tratto di mare maledetto, talvolta, per centinaia di persone.
La nave Vieste – specializzata, nello specifico, a individuare sui fondali la presenza di relitti di navi naufragate nel corso delle due guerre – non ha in serbo di tornare alla base. Ricomincerà, tra qualche giorno, la sua attività di ricerca: non solo di navi scomparse, ma pure di ordigni bellici adagiati in fondo al mare, svolgendo evidentemente pure un meritorio compito di tutela e salvaguardia della società civile.
Per adesso, i pronipoti di coloro che persero la vita a bordo del piroscafo ‘Tripoli’ possono ammirare la sagoma della nave adagiata sul fondo di Capo Figari. Non hanno conosciuto i loro avi, ma da adesso potranno immaginare le loro ultime ore di vita.