(Ph Jessica Lewis da Pexels)
Scivolata lungo un fianco argilloso della parte alta dell’Etna, sembra poterne toccare la cima emergendo da una vegetazione ricca e varia.
Il paesaggio mozzafiato accompagna i percorsi intorno al paese di Maletto, cittadina in provincia di Catania e mentre volgendo lo sguardo a sud si allargano suggestive vallate per prendere forma, poi, di pianura, salendo sono i terrazzamenti che si presentano ora come frutteti, ora come vigneti. Poi si incontrano ampie distese di fragole.
 
Man mano che si procede verso l’alto ci si avvicina sempre più ai boschi di querce, castagni che dopo un po’ lasciano spazio ai lecci, ai larici e perfino ai faggi e alle alte betulle che qui si trovano sin dai tempi delle glaciazioni.
Ma più si sale più la bocca del vulcano è vicina e più la vegetazione cambia, si impoverisce e sono arbusti di spinosanto che preannunciano il volto scuro del terreno lavico.
 
Tuttavia, la vicinanza col pericolo eruzioni non ha fermato, già dal primo millennio a.C., gli insediamenti attorno all’attuale centro abitato.
Così si succedettero i Greci, i Romani, i Bizantini, gli Arabi, i Normanni e, infine, gli Svevi.
 
Fu proprio lo svevo Manfredi Maletto, conte, che nel 1263 fece erigere sulla rocca una torre fortificata, il Castello, oltre a darle il nome.
Il Castello fu il nucleo attorno al quale si sviluppò il primo centro abitato che, insieme allo stesso e al feudo di Maletto, passò agli Spadafora che li tennero sino al 1812.
 
L’attuale cittadina vide la sua attuale costruzione verso la fine del XV secolo per continuare nel XVI, periodo in cui fu realizzato il palazzo baronale della famiglia Spadafora, la chiesa di S. Michele Arcangelo, alcuni magazzini, un loggiato, una locanda e un fondaco.
 
Ebbe la sua maggiore espansione quando il re di Spagna, nel 1619, le diede il riconoscimento di principato. Da allora ad oggi il centro della città si è mantenuto identico.
 
La Chiesa Madre, aperta al culto dopo venti anni di lavori per la sua realizzazione, fu consegnata ai fedeli nel 1877 e custodisce pregevoli opere d’arte. La Chiesa di San Michele – che insieme all’ex Palazzo Spadafora è datata dai primi anni del 1500, conserva un bel campanile e, al suo interno, preziose tele del 1700.
 
Davanti il portale di ingresso si trova “u schicciu” (lo schizzo), ovvero una fontana in pietra lavica del ‘700. Accanto, un loggiato cinquecentesco, restaurato negli anni ’60, ne costituisce un appoggio. È del 1785 la Chiesa di S. Antonio, protettore della città, al cui interno si trovano le statue lignee di San Vincenzo e di Sant’Antonio.
 
Affacciandosi da quelli che ormai sono i ruderi del Castello, si possono scorgere in lontananza i campanili delle chiese di Randazzo, il fiume Saracena sulle cui rive sorgeva l’abbazia di Santa Maria di Maniace, costruita nel 1173, divenuta famosa perché donata all’ammiraglio Nelson come castello da Ferdinando IV di Borbone che volle così ricompensare l’inglese per avere sedato la rivolta napoletana nominandolo Duca e donandogli appunto il castello, oggi meta turistica.
 
Al centro di Maletto si trovano preziosi palazzi del ‘600 e del ‘700, mentre il campanile della chiesa di San Michele si trova sopra un sottopassaggio che collega le due parti di una delle strade principali.
 
Ad un’altezza di 1700 metri si trova un rifugio montano in uno dei più alti crateri spenti della zona. Nello stesso territorio si trovano i “pagghiari” (pagliai) rifugi un tempo usati dai contadini e dai pastori dove ripararsi in caso di pioggia o neve.
 
Di forma circolare, tutti, ma di diverse dimensioni, devono il nome al materiale con cui un tempo venivano costruiti. Oggi la pietra lavica ha sostituito la paglia.
 
Oltre a queste antiche costruzioni si può visitare un antico palmento nel quale è possibile individuare gli antichi sistemi di pigiatura dell’uva e del procedimento di fermentazione del mosto.
 
Oltre alla sua incantevole collocazione che ne fa un luogo da cui ammirare panorami mozzafiato, deve la sua attività turistica al clima e ai prodotti della terra. Primo fra tutti le fragole che sono famose nel mondo per il loro profumo, colore e sapore.
 
Quando negli anni ’50 furono scoperte acque sotterranee e un gran numero di pozzi, fu introdotta la loro coltivazione e la qualità “fragolina” è quella che viene utilizzata nell’industria dolciaria.
 
Da piantina spontanea che cresce nei boschi, viene trapiantata con sistemi industriali ma non viene trattata con procedimenti artificiali di maturazione che potrebbero alterare le sue caratteristiche organolettiche.
Il mese di giugno è quello che ogni anno garantisce la migliore – sia quantitativamente che qualitativamente – produzione. Ed è proprio a giugno che si svolge la sagra delle fragole.
 
Turisti e gente del luogo non resistono al richiamo del profumo del rosso frutto e le maestranze locali espongono ceste di fragole e piantine che distribuiscono gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta.
Sono diversi i tipi di fragole esposte: la fragolina di pasticceria, quella “rifiorente” il cui periodo di maturazione non è da maggio a giugno come la precedente, ma da gennaio a dicembre, e poi c’è la fragola tradizionale, quella che ritroviamo in primavera sulle nostre tavole ed è più dolce e più profumata.
 
La sagra dura tre giorni e normalmente dal venerdì alla domenica. Quest’anno si è svolta l’8, il 9 e il 10 giugno e ha avuto inizio con la “Mostra Mercato delle Fragole” e l’immancabile benedizione degli stand posti nella piazza XXIV maggio.
 
Nel palazzo Spadafora, un tempo sede del Comune, a conclusione di un convegno sulle triplici caratteristiche della fragola di Maletto, le è stato conferito il marchio De.Co., ovvero di denominazione di origine comunale.
La sera si sono svolte delle rappresentazioni teatrali a cura degli alunni delle scuole cittadine. Sabato 9, sin dalla mattina, sono stati protagonisti gli allievi delle scuole primarie e secondarie della provincia di Catania che hanno potuto gustare il gelato – neanche a dirlo – al gusto di fragola di Maletto e hanno poi visitato gli stand del mercato.
 
Di sera e per buona parte della notte, la manifestazione “Notte bianca” ha dato il via a espressioni di spettacolo come la musica, la danza e varie esibizioni di artisti di strada.
 
La Domenica 10, a conclusione della tre giorni della sagra, gli stand del mercato erano ancora aperti e gli sbandieratori de “La Corte di Aragona”, si sono esibiti nelle loro spettacolari performances.
 
Quando si è avvicinata l’ora del pranzo, ecco che prontamente si è passati alla degustazione del risotto alla fragola.
 
Nel pomeriggio ancora una volta hanno sfilato, esibendosi, gli sbandieratori sino a quando ben dieci enormi e invitanti torte alla fragola, portate ognuna da più giovani, date le loro dimensioni, sono state distribuite e prontamente consumate da tutti coloro che trepidamente e golosamente aspettavano il momento di gustare quelle meravigliose leccornie.
 
E per prolungare il piacere del palato, vi si è aggiunto quell’ennesimo spettacolo musicale per ricordare, quanto a volte basti così poco per rendere “la vita meno amara” come cantava Nino Manfredi in una sua canzone di qualche tempo fa.
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