Versatile. Un uomo protagonista e caratterista. Un artista davanti e dietro la telecamera. Liev Schreiber è stato l’ambiguo Bobby Lincoln per Mira Nair nell’intricato Pakistan del dopo-11 Settembre in “Il fondamentalista riluttante” (2012), film di apertura alla 69° Mostra del Cinema di Venezia.
È stato Marty Baron, pacato ma fermo caporedattore del Boston Globe, deciso a scoperchiare la pedofilia clericale nel pluripremiato “Il caso Spotlight” (2015, di Tom McCharty), presentato a Venezia l’anno passato e vincitore dell’Oscar come Miglior Film e per la Miglior sceneggiatura originale.
È stato il presidente Lyndon Johnson nel drammatico “The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca” (2013, di Lee Daniels). Alla 73° edizione della Mostra d’Arte Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto – 10 settembre) l’attore e regista statunitense è sbarcato per l’anteprima del film Fuori Concorso “The Bleeder” (Usa/Canada, 93’) diretto da Philippe Falardeau.
Nel corso della serata in Sala Grande del Palazzo del Cinema al Lido di Venezia, gli è stato consegnato il Persol Tribute to Visionary Talent Award.
“Ho un’ammirazione sconfinata per Liev Schreiber” ha dichiarato il direttore del Festival, Alberto Barbera: “Un attore capace di dare il meglio di sé sia nei ruoli da protagonista in tanti film di produzione indipendente, sia in quelli da comprimario in molti film mainstream hollywoodiani, oltre che in una serie di grande successo come Ray Donovan, da lui prodotta e in parte diretta. La solida preparazione da attore shakespeariano dei suoi esordi sono il lievito che continua ad alimentare interpretazioni imprevedibili e complesse, intrise di profonda umanità.
Ogni volta che compare in scena si ha l’impressione che il film si alzi di tono, facendo di ogni sua apparizione qualcosa di unico e memorabile. La sensibilità, l’intuito, l’intelligenza ne sono componenti essenziali: le stesse qualità del suo unico lungometraggio regista, ‘Ogni cosa è illuminata’, che mi auguro non debba rimanere solitaria prova di un talento non comune”.
Ancora inedito sul grande schermo in Italia, The Bleeder racconta la vera storia del pugile americano Chuck Wepner, la cui vicenda ispirò il personaggio di Rocky Balboa nell’immortale saga cinematografica interpretata da Sylvester Stallone.
Se nella fantasia cinematografica lo sconosciuto “Stallone italiano” tenne testa 15 riprese al campione del mondo Apollo Creed, nella realtà Wepner andò al tappeto al 15° round contro l’immenso Muhammad Ali.
Al fianco di Schreiber in “The Bleeder”, Elisabeth Moss nei panni della seconda moglie Phyllis. Ron Perlman è il manager del pugile e Naomi Watts è la terza moglie del boxer.
Il viso di Wepner scalfito dai pugni è l’emblema della sua vita così come della classe lavoratrice che tenta la scalata nel più tipico del sogno americano, capendo però che la più grande conquista non sono i titoli sui giornali o l’essere riconosciuto per strada ma l’affetto sincero e disinteressato delle persone che ti circondano. Una performance quella di Schreiber che fin dalla prima proiezione per la stampa a Venezia, ha subito raccolto ottimi consensi così come l’intera pellicola.
Classe ’67 di San Francisco, Liev si è formato presso la Royal Academy of Dramatic Art, una tra le più rinomate scuole di teatro del mondo e tra le più antiche della Gran Bretagna, e si è laureato nel 1992 alla Yale School of Drama. Nel 2005 ha vinto un Tony Award nel 2005 come miglior attore non protagonista per “Glengarry Glen Ross”. Se il pubblico amante del genere cinecomic lo ricorda nei panni mutanti di Sabretooth opposto al possente Logan-Wolverine, sono tante le pellicole dove Schreiber ha lasciato il segno, incluso “Gigolò per caso” (2013, di John Turturro) o “Defiance – I giorni del coraggio” (2008, di Edward Zwick), incarnando il dramma della fuga dai nazisti al fianco dell’ormai “ex-007” Daniel Craig.
Schreiber sta diventando anche un ospite abituale della kermesse lagunare. Oltre alle presenze per i già citati “Il fondamentalista riluttante” e “Il caso spotlight”, Liev è sbarcato a Venezia prima come attore in “The Manchurian Candidate” (2004, di Jonathan Demme), poi l’anno successivo per il suo esordio alla regia, “Ogni cosa è illuminata”, con protagonista Elijah Wood, film che si è aggiudicato i premi Lanterna Magica e Biografilm. Infine, il 2016. Liev Schreiber ha lasciato il segno dentro e fuori il grande schermo.