Il Festival della Canzone Italiana di Sanremo ha compiuto quest’anno 64 anni. La manifestazione canora, ormai diventata un simbolo del Paese, negli anni si è trasformata in un evento mediatico che riscuote un certo successo anche all’estero, trasmesso addirittura in Eurovisione.
Ed ogni anno Sanremo non manca di far discutere, nel bene o nel male. Perché, a ben guardare, Sanremo può diventare, ed in certi casi così è stato, lo specchio dell’Italia che anno dopo anno cambia e cresce. O mancare completamente questo riflesso.
La prima edizione televisiva del Festival risale al 1950, anche se iniziative analoghe erano state tentate già qualche anno prima. Nel 1936 si svolse un Festival della canzone italiana a Rimini, trasmesso per radio e replicato l’anno seguente, iniziativa che tuttavia non decollò. L’entrata in guerra di lì a poco e gli anni difficili che ne seguono, fanno ovviamente dimenticare la voglia di cantare, che tuttavia si ravviva quasi subito al termine del conflitto.
D’altra parte il Bel Paese è la patria dell’opera, della canzone, del melodramma. E così, a soli sette anni dalla firma dell’armistizio, l’Italia sta cercando di rimettersi in piedi e ovunque si cerca di tornare alla vita di tutti i giorni. Di certo è un Paese del tutto diverso rispetto a quello del ventennio fascista: la società è cambiata, le bombe hanno lasciato il segno del loro passaggio, gli animi sono tutti da ricostruire. Dalla sua comparsa, la kermesse canora però si inserisce perfettamente nella storia di questo Paese da rimettere in sesto.
La prima edizione è vinta da Nilla Pizzi con “Grazie dei fiori” e fino agli anni Sessanta i pezzi presentati in gara si inscrivevano tutti bene o male all’interno di una tradizione musicale piuttosto “tradizionale”.
Ma è solo con l’arrivo di un nuovo genere di musica che Sanremo dimostra quanto sia attaccato a tale tradizione.
Mentre negli Stati Uniti esplode il rock’n’roll e in Europa si afferma il beat, a Sanremo continuano a vincere Claudio Villa, Gigliola Cinquetti e Bobby Solo. Non riesce a farsi specchio di quella nuova generazione di “cantanti yè-yè” o “urlatori” che dir si voglia, tanto disprezzati degli adulti affetti da quello che il quotidiano “Paese sera” definiva “cinquettismo: un impasto di zucchero filato, adenoidi e feste parrochiali”. E questa è la prima grande caduta del Festival, il suo non saper stare al passo con i tempi.
Di cantanti che non hanno avuto la sensazione di essere capiti in quegli anni ce ne sono stati molti, ma di sicuro il caso di Luigi Tenco è quello che suscitò maggior scalpore.
Rientrato in hotel dopo la sua esibizione al Festival del ‘67, Tenco si suicidò, lasciando un biglietto: “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.
Un gesto tragico, ma che spiega perfettamente quale fosse il clima di quel periodo. A ben guardare da allora Sanremo è cambiato notevolmente.
Molto spazio è dato alla comicità e in questi ultimi anni una buona dose di satira politica è stato l’ingrediente che più ha attirato il pubblico. Se qualche anno fa i comici Luca e Paolo si lanciavano in bizzarri rifacimenti politici dei pezzi più famosi di Gianni Morandi, lo scorso anno è stato Maurizio Crozza a far discutere, essendo il Festival caduto a ridosso delle elezioni politiche ed avendo lui portato sul palcoscenico dell’Ariston le imitazioni di tutti i maggiori politici del momento.
Quest’anno il Festival si è aperto con la manifestazione di due operai che da diversi mesi non ricevono lo stipendio e che minacciavano il suicidio. Si è discusso molto se sia stata una mossa strategica della serata d’apertura dello spettacolo.
Comunque sia, quest’apertura ci ha ricordato in che difficile momento l’Italia si trovi.