Rossano nasce sugli insediamenti degli antichi Enotrii (Ph Mboesch - CommonsWikimedia - CC Attribution-Share Alike 4.0 International licence)

C’è chi la scopre arrivando dalla strada litoranea e guardando il maestoso promontorio sulla quale è costruita. Chi invece assaggiando il suo prodotto più conosciuto, la liquirizia. E c’è chi vi arriva spinto dalla curiosità di ammirare il Codex Purpureus Rossanensis, straordinario capolavoro del VI secolo di origine bizantina. Qualunque sia il motivo, chi arriva a Rossano scoprirà un angolo d’Italia ancora poco pubblicizzata dai grandi operatori turistici ma intriso di quel fascino che solo i borghi italiani sanno vestire nel presentarsi a chi desidera conoscerli.

Dal 2017 Rossano ha deciso di fondersi con Corigliano dando vita a un comune che prende il nome di entrambi. La scelta amministrativa non intaccherà la storia che trasuda dalle mura del borgo situato tra la Sila e la costa ionica e che prende inizio dai primi insediamenti della popolazione degli Enotrii (sec. XI – VIII a.C.). In epoca romana (sec. II a.C – V d.C) divenne una città fortezza, Castrum e poi Frùrion, quindi acquistò il nome di Roscianum e dal 540 al 1059, divenne una città strategica dell’Impero di Bisanzio, ambita da numerosi invasori (Visigoti, Longobardi, Saraceni) ma mai espugnata. Nel 951 – 952, fu la sede dello Stratego (il capo militare e civile dei due Themi di Calabria e Lombardia), e capitale dei possedimenti bizantini in Italia.

Crocevia tra Oriente e Occidente, zona ascetica di intensa spiritualità, Rossano vanta una nutrita schiera di personalità di primo piano nel Medioevo: i Papi Zosimo (417 – 418), Giovanni VII (705 – 707), Zaccaria (741 -752), Giovanni XVI Filagato (997 – 998); San Nilo, (910 – 1004), fondatore di numerosi monasteri ( tra i quali la famosa Badia Greca di Grottaferrata presso Roma), San Bartolomeo (980 – 1055), discepolo di S. Nilo e autore del “Bios”, Shabbettai Domnolo (913 – 982), medico e scienziato ebreo ecc.
Gli anni bizantini rappresentarono il momento d’oro di una città che però anche nel Secondo Millenio continuò a svilupparsi urbanisticamente arricchendosi con numerosi e grandi i palazzi gentilizi, chiese e monasteri, casini o masserie, torri costiere, (come il castello di S. Angelo), l’Ospedale di San Giovanni di Dio o dei Fatebenefratelli, associazioni culturali e religiose, assistenziali e sociali.

Dai primi del 500 alla metà del 700, Rossano rinverdì il suo ruolo di città di cultura dando vita alle istituzioni religiose (tra le quali il Seminario Diocesano, 1593), all’Accademia dei Naviganti e a quella degli Spensierati, costruendo il teatro Nazionale Amantea poi Palella.
Nel 1876 Rossano inaugurò il tronco ferroviario Jonico e, dopo qualche anno, avviò la prima illuminazione elettrica e le prime centrali termoelettriche della Calabria.

Una storia ricca, a portata di visitatori, quella che Rossano offre oggi nel suo ruolo di guida nel vasto territorio della Calabria Jonica Nord Orientale. Pur avendo perso la municipalità a favore di una fusione con Corigliano, la città mantiene intatto il suo patrimonio storico che comprende la cattedrale di Maria Santissima Achiropita, la chiesa di San Nilo, l’oratorio di San Marco, la chiesa della Panaghia e la chiesa di Santa Chiara ma che vede nel Museo Diocesano del Codex e nel Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli i due caposaldi della religiosità e della laboriosità.

Il Museo diocesano di Rossano, custodisce il Codex Purpureus Rossanensis, un antichissimo evangeliario greco del VI secolo di origine bizantina, inserito nel Patrimonio Unesco il 9 ottobre 2015. Considerato da molti studiosi il Vangelo miniato più prezioso al mondo deve l’aggettivo “Purpureus” al fatto che le sue pagine sono rossastre (in latino purpureus) e contiene una serie di miniature che ne fanno uno dei più antichi manoscritti miniati del Nuovo Testamento conservatisi. Il Codex fu ritrovato nel 1879 all’interno della sacrestia della Cattedrale di Maria Santissima Achiropita di Rossano ed è un evangeliario in lingua greca risalente all’anno 550. È composto di 188 fogli di pergamena contenenti il Vangelo secondo Matteo e il Vangelo secondo Marco oltre ad una lettera di Eusebio di Cesarea a Carpiano sulla concordanza dei vangeli. Il manoscritto riporta testi vergati in oro ed argento ed è impreziosito da 14 miniature, accompagnate in calce di cartigli descrittivi, che illustrano i momenti più significativi della vita e della predicazione di Gesù, di cui alcune costituiscono tra le prime e più preziose rappresentazioni della figura di Ponzio Pilato, raffigurato come un giudice canuto, assiso sulla sella curulis nell’atto prima di ricevere il Cristo e poi di pronunciare la sentenza della condanna a morte al notarius.

Il “Rossanensis”, salvato da numerosi tentativi di rapine, dalla distruzione e dall’ oblio, viene custodito, dal 18 ottobre 1952, presso il Museo Diocesano di Arte Sacra. E’ uno straordinario manoscritto, manifestazione di potere, opulenza e prestigio del possessore e della committenza e non poteva che appartenere ad una classe socio-economica assai elevata. Il Codex è estremamente importante sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista della manifattura, tali da rendere il substrato scrittorio simile a pochissimi altri esemplari finora esistenti, fra i quali la Genesi di Vienna e il Sinopense di Parigi. Per la sua consistenza, pur se mancante di molte pagine, è il più prezioso fra i codici onciali (scritti in caratteri greci maiuscoli) dell’antichità. Ma soprattutto è l’unico codice rilegato, i codici analoghi sono ormai solo fogli sciolti.

Risale invece al 1500 la prima testimonianza scritta della commercializzazione della Glycyrrhiza Glabra, ovvero della liquirizia, una radice dolce di cui la famiglia Amarelli seppe intuirne le potenzialità. Gli Amarelli nel 1731 fondarono un impianto proto-industriale, detto “concio”, per l’estrazione del succo dalle radici di questa benefica pianta, e per produrre le liquirizie nere e brillanti.

Superando tre secoli di costanti e radicali trasformazioni, la Amarelli ha infine deciso di aprire, nell’antico palazzo sede dell’azienda, il Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” che ha ottenuto nel Novembre 2001, il “Premio Guggenheim Impresa & Cultura” mentre nel 2004, Poste Italiane vi ha dedicato un francobollo della serie “Il Patrimonio artistico e culturale italiano”. La severità architettonica dell’edificio, ingentilita dagli interventi seicenteschi, le antiche stanze, i pavimenti in cotto e acciottolato, gli agrumi dei giardini, la piccola chiesa annessa, sono la testimonianza di quella storia e di quella tradizione di cultura che è possibile ritrovare nell’allestimento del Museo. Con oltre 40.000 visitatori annui, il Museo della liquirizia di Rossano è, in base ad una ricerca condotta dal Touring Club Italiano, il secondo il museo d’impresa più visitato in Italia dopo il Museo Ferrari. Al museo è annesso l’Archivio, che raccoglie documenti della famiglia e dell’impresa dal 1445 ad oggi e che, con decreto del Ministero dei Beni Culturali del 20/12/2012, è stato dichiarato “di interesse storico particolarmente importante”.


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