Per qualcuno rappresenta la sintesi di un’epoca difficile ma piena di fervore, per altri il ricordo di un periodo intriso di speranza dopo le tragedie belliche e i difficili anni della ricostruzione postbellica; per altri ancora l’identificazione con un percorso umano personale che il tempo ha sbiadito. Di sicuro, “Ero gracile” (Artemia edizioni) l’ultima fatica editoriale del giornalista editore Dom Serafini, cattura la simpatia di molti, nati e cresciuti in quell’epoca e di giovani nati in epoca più vicina agli attuali anni, per un semplice motivo: il tempo. Quel tempo che trasforma i ricordi e riesce a rendere belli anche i momenti drammatici, trovandovi quelle briciole di umorismo laddove all’epoca si presentavano come piccoli grandi drammi quotidiani.
Il sottotitolo del libro: “La rivincita della B12” è però riservata all’esclusiva memoria di chi in quegli anni muoveva i suoi primi passi da bambino e da adolescente, con il fisico gracile dell’italiano medio che iniziava a riscoprire la tranquillità e gli oggetti di consumo. E attraverso il percorso fisico di un ragazzo è possibile rispecchiarsi anche nell’Italia dei primi anni ’60, un paese gracile che tentava di riscoprire la gioia dell’abbondanza e il piacere di progettare un futuro, rinunciando a una parte di sé stessa lasciata andare migrante in Europa, in America e in Australia per permettere di alimentare i sogni di chi rimaneva a casa.
“Questo libro – spiega Dom Serafini – è indirizzato a tre generazioni: quella cresciuta negli anni 60, quella dei loro figli e quella dei loro nipoti. I primi ricorderanno con simpatia un periodo per cui il tempo ha trasformato i drammi in commedie; i secondi capiranno perché i loro genitori sono così “strani”, e i terzi scopriranno come si riesce ad essere magri.
Nato a Giulianova nel 1949 e emigrato nel 1968 negli Stati Uniti, Dom Serafini è alla sua nona esperienza libraria, ma “Ero gracile” è un volume autobiografico, sul quale si innesta la storia di un’epoca drammatica che il tempo ha trasformato in commedie. Più o meno personali.
Collaboratore del quotidiano America Oggi e Affari Italiani e curatore della rubrica domenicale “Abruzzesi nel Mondo” sul dorso Abruzzo de Il Messaggero, Dom si è candidato per tre volte al Parlamento con il voto degli italiani all’estero ma come egli stesso tiene a ricordare, gli elettori non l’ hanno trovato abbastanza simpatico, come invece l’altro abruzzese eletto all’estero, Antonio Razzi.
“Nelle pagine del libro ripercorro le esperienze infantili in un sistema scolastico antiquato, ma funzionante nella sua sgangheratezza, l’importanza della cucina come fulcro famigliare, prima che questo si spostasse in salotto e la mia ossessione per l’America. Il tutto legato insieme dal problema esistenziale di come risolvere la mia gracilità fisica e dalla soluzione trovata dai genitori: l’uso massiccio di iniezioni di vitamine B12.”
Direttore a New York di VideoAge, mensile da lui fondato nel 1981 (oggi la principale rivista di Hollywood per la produzione e vendita di contenuti televisivi) l’autore non nasconde la sua passione per l’agricoltura che però si traduce solo in un lavoro di cura nel giardinetto di casa.
“Gli anni ’60 erano periodo semplice che oggi si fa fatica a ricordare anche nelle azioni più semplici, come per esempio come si potesse vivere senza dover fare la raccolta differenziate, senza piste ciclabili e i supermercati negli aeroporti. Mentre alcuni gesti sono stati dimenticati, molti argomenti rimangono ancora molto attuali a distanza di anni come l’emigrazione, l’emergenza rifiuti e ciò che si è perso e/o guadagnato negli anni.”
Giunto all’età in cui si fa un bilancio della propria esistenza, il giornalista giuliese ha deciso di condividere la storia della sua incredibile e avvincente avventura americana nella quale la sua vicenda personale diventa la trama di una generazione di giovani italiani pieni di entusiasmo, nati e cresciuti in un’ Italia che cavalcava il boom economico che divise paradossalmente il Paese in due: da un lato il Nord ricco e dall’altro il Sud più arretrato. E se oggi l’America opulenta spende milioni di dollari in cure dietetiche, palestre e centri benessere, negli anni Sessanta (e anche prima) la priorità di chi arrivava dall’Italia era quella di mettere insieme il pranzo con la cena. Per questo la linea era «smagliante» e il girovita da urlo.
“Dalle scuole medie in poi – racconta Dom – andavo da solo dal dottore di famiglia per la ricetta delle solite cure ricostituenti a base di B12 in primavera e in autunno. Non c’era nemmeno bisogno della visita. Appena il medico mi vedeva attraverso la nuvola di fumo delle sigarette che fumava a ripetizione, mi dava la ricetta da portare in farmacia o addirittura la medicina che trovava frugando sulla scrivania. Purtroppo non credeva nella cura con pillole ed invariabilmente finivo con quella a base di iniezioni. A distanza di tempo sono convinto che all’epoca avevo cosí tanti buchi sul corpo da sembrare un colabrodo! In quel periodo avevo anche la libertá di scegliere il tipo di merenda e quindi passavo dalla Nutella ai formaggini a seconda dei regali che questi offrivano con la raccolta di punti. Per un mistero ancora da chiarire, la prima “ruota di scorta” intorno al girovita si materializzó verso i 35 anni, poi scomparve per quindi tornare esattamente il giorno dopo il mio 55° compleanno e da allora cocciutamente si rifiuta di sparire.”