C’è un piccolo tesoro nella Capitale d’Italia, come uno scrigno nascosto sconosciuto ai più. Stiamo parlando del Quartiere Coppedè, del quale addirittura non tutti i romani sono a conoscenza e, anche tra coloro che ne hanno sentito parlare, c’è chi ammette di non averlo mai visitato.
Ma cosa rende così speciale questa piccola area urbana costituita da appena diciotto palazzi e ventisette tra palazzine ed edifici? La risposta è semplice: lo stile eterogeneo ed eclettico!
Nato nei primi decenni del 1900 dall’estro creativo dell’architetto Gino Coppedè, il quartiere è un esempio unico al mondo per via della sua architettura particolare, che fonde insieme liberty, neogotico, kitsch, barocco e modernismo.
L’area si sviluppa intorno al nucleo centrale di piazza Mincio, vero cuore del quartiere.
Al centro di questa piazza, troneggia la Fontana delle Rane, una costruzione in stile barocco. Una vasca circolare posta su una piattaforma quadrilobata che presenta ad ogni lobo una grande conchiglia molto decorata, sostenuta sulle spalle da due figure umane, una di schiena all’altra. Al centro di ogni conchiglia, sul bordo, si trova una rana dalla cui bocca esce acqua. La fontana è nota anche per il bagno che i Beatles vi fecero vestiti, dopo un loro concerto tenuto nello storico locale Piper, a due passi dalla piazza.
Ma la cosa più particolare dell’intero quartiere è, senza ombra di dubbio, l’arco con lampadario tra i Palazzi degli ambasciatori, all’angolo tra via Arno e via Tagliamento. Un lampadario in ferro battuto, che pende dalla volta interna di un arco decorato con motivi asimmetrici.
L’intero quartiere è avvolto da un’atmosfera quasi fiabesca ed estremamente suggestiva. Tutti gli edifici presentano, infatti, particolari raffinati e ricercati, raffinatissime facciate esterne, dorate e con numerose figure dipinte sopra. Come la Palazzina del Ragno di ispirazione assiro-babilonese che si contraddistingue per un grande ragno sulla facciata o il Villino delle Fate caratterizzato da una totale asimmetria, con archi e fregi medievali realizzato con la fusione di diversi materiali, come il marmo, il laterizio, il travertino, la terracotta, il vetro. Una varietà di formule artistiche e soluzioni urbanistiche che ha reso inconfondibile il risultato finale al punto che Gino Coppedè, che si dedicò all’impresa tra il 1915 e il 1927, risulta essere l’unico architetto del Novecento italiano ad aver legato il proprio nome a un quartiere per l’evidente unitarietà stilistica del complesso.
In passato, proprio per la sua originalità e la sua atmosfera un po’ misteriosa, il quartiere ha fatto da set cinematografico per molti film, tra i quali anche “L’uccello dalle piume di cristallo” e “Inferno” di Dario Argento, “La ragazza che sapeva troppo” di Mario Bava, “Il profumo della signora in nero” di Francesco Barilli e “Il presagio” (1976) di Richard Donner. Ma fu lo stesso Coppedè a omaggiare il cinema: un palazzo ha un portale che è stato fedelmente “copiato” dal film muto “Cabiria” firmato da D’Annunzio nel 1914.