Reperti etruschi conservati al Museo di Villa Giulia a Roma (Ph Konstantinos Papaioannou da Dreamstime.com)

“Pyrgiii! Era così che probabilmente esultavano i marinai cartaginesi che avevano navigato dalle loro colonie in Sardegna, in Sicilia o dal Nord Africa fino alle coste dell’Etruria meridionale, così come i marinai greci che con i loro mercantili avvistavano il porto provenendo dalle coste della Campania, da Pithecusa, sull’isola di Ischia, o da Cuma e certamente dovevano farlo i “pirati” etruschi. Ringraziavano Nethunus, dio del mare, per averli riportati a casa, a Pyrgi, dopo aver attraversato il mare Tirreno in lungo e largo, toccando i porti del Mediterraneo, commerciando olio, vino, grano, monili, metalli preziosi e soprattutto scambiando “cultura” e tutto ciò che questo termine rappresenta: usanze, lingue, conoscenze, riti, credenze. Centinaia di navi mercantili e militari trovavano felicemente approdo a Pyrgi, il principale porto di Caere, l’attuale paese di Certeveteri sul litorale laziale, a pochi chilometri da Roma.

L’Etruria, la terra compresa tra il fiume Arno, il Tevere e il mare Tirreno, ricca di miniere metallifere a nord e di terre fertili e coltivate nel sud, fu la culla della civiltà degli Etruschi, chiamati Tusci dai popoli latini, Thyrrhenoi dai greci mentre Rasenna era il termine con il quale gli Etruschi chiamavano se stessi. Esistono varie teorie riguardo alla loro provenienza. Erodoto li identifica con i Lidi, partiti dall’Asia Minore dopo una terribile carestia poco dopo la guerra di Troia. Tito Livio con genti venute dall’Europa centrale o, tra storia e leggenda, viene attribuita loro l’identità del misterioso popolo errante dei Pelasgi. Dionisio di Alicarnasso, storico greco dell’età di Augusto, riteneva invece che fossero una popolazione nativa dell’Italia antica. Aperti agli scambi con le grandi civiltà del Mediterraneo, greca e fenicio-punica, gli etruschi erano organizzati in città-stato indipendenti, i cui rappresentanti si riunivano annualmente nel santuario di Voltumna, presso Orvieto, prendendo a volte decisioni comuni di natura politica o militare. Furono signori del mare tanto da essere ricordati come temibili pirati, maestri di idraulica, religiosissimi, amanti della musica, della poesia, della danza, e Roma ne fu ampliamente influenzata in tutti i campi.

Caere già dal VII secolo avanti Cristo divenne una delle più ricche e potenti città-stato dell’Etruria meridionale. In ottimi rapporti commerciali con i “principi” di Vetulonia, importantissimo centro mineraio nell’Etruria centrale, per ampliare gli scambi nel Mediterraneo, si vide impegnata alla realizzazione di infrastrutture collegate con la navigazione. Ecco così apparire già tra il VII e il V sec. a.C. due vie che collegano la città al mare: una terminava nel porto di Alsium, e un secondo percorso, diretto verso nord, conduceva al Porto di Pyrgi, che fin dal VI sec.a.C., divenne il più importante porto ceretano. Collegato alla città da una strada monumentale lunga 13 chilometri e larga 10 metri, realizzata probabilmente nella prima metà del VI sec.a.C., il santuario del porto arrivò ad occupare una superficie di almeno 6 ettari delimitati nella parte sacra da un muro di “temonos” e articolato nel tempo in una serie di edifici. Adagiato su un enorme terrapieno artificiale, alla fine del VI sec. a. C., il re-tiranno di Caere, Thefarie Velians, fece innalzare il primo Tempio, ai giorni nostri detto tempio B, dedicato alla dea Astarte-Uni, la suprema dea del Panteon etrusco. Una ricca decorazione con episodi del mito di Heracle, Ercole, decorava le lastre frontali, mentre figure di piccoli cavalieri, abbellivano il tetto.

Accanto al tempio, nel lato lungo del temenos, sorgevano le 20 celle delle sacerdotesse della dea, le ierodule, che secondo l’espressione del poeta Lucilio erano le famose “scorta Pyrgensia” cioè “ prostitute di Pyrgi”.Il tempio era di tipo greco con un’unica lunga cella circondata da quattro colonne sul lato frontale e sei sui lati laterali.È probabile che nel tempio fosse venerata una triade comprendente la Dea Thesan ricordata in un’iscrizione su lastra di bronzo rinvenuta nei pressi. Nella terza area sacra, detta area C, situata tra i due templi, e che in origine era un piccolo santuario indipendente, dotato di un altare cilindrico di tufo grigio, di un pozzo e di un secondo altare in peperino, furono ritrovate nel 1964 le tre famose lamine d’oro di Pyrgi. Le lamine erano una coppia bilingue, in etrusco e fenicio, e una terza in etrusco. Trovate avvolte in un pacchetto e nascoste in una vasca nell’area C, riportano una dedica alla dea Uni da parte del re di Caere Thefarie Velianas.

Intorno all’area sacra, inoltre, sorgevano altri piccoli templi dove anche i greci che giungevano al porto, potevano venerare i loro dei e un’altra vasta area che sta emergendo da scavi più recenti, dove evidentemente vivevano tutti coloro che lavoravano nei cantieri navali, nei magazzini e nelle botteghe che contribuivano ai fabbisogno della comunità di Pyrgi. Nel 384 a.C. Dionigi re di Siracusa, attaccò e saccheggiò Pyrgi, impadronendosi di un enorme bottino in monete d’oro e d’argento e grandi quantità d’argento non monetato. Dal IV al III sec a.C., il tempio ebbe una rinnovata fioritura cui pose fine il conflitto tra Roma e Caere che,  dopo una prima intesa commerciale,  portò alla confisca romana del territorio e alla fondazione del castrum romano militare della colonia marittima di Pyrgi. Purtroppo quel che resta visibile dei magnifici Templi è solo una piccola base perimetrale di pietre che d’estate è coperta d’erba e d’inverno diventa le sponde di una pozza d’acqua piovana.

Il mare ha eroso almeno 100 metri della costa del sito e molto dell’antico porto di Pyrgi si trova oggi sommerso. Dai continui scavi, anche subacquei, emergono grandi quantità di reperti e elementi architettonici che definiscono via via la pianta generale dell’area ancora incompleta. Alcuni reperti sono visibili nell’Antiquarium, piccolo museo inaugurato nel 1972, che si trova nei pressi del antico porto e che fa parte del grande complesso del Castello di Santa Severa che occupa dal medioevo, gran parte dell’area di Pyrgi. Il più dei ritrovamenti originali sono custoditi a Roma nel grande Museo Archeologico di Villa Giulia.

A Pyrgi i naviganti trovavano acqua potabile, cibo e ristoro. Il colpo d’occhio per chi arrivava dal mare doveva essere semplicemente fantastico, e per chi era a terra, il pullulare di vele colorate spinte dal vento che andavano e venivano, rendeva certamente la vita piena di sorprese. Chissà cosa stava arrivando su quella nave cartaginese: uova di struzzo, collane di pasta vitrea, o vasi d’alabastro? E da quel vascello proveniente da Cuma, vasi decorati a figure nere, o monete d’argento? E ancora, quali meravigliose storie avrebbero raccontato i marinai etruschi che tornavano dalla Sardegna, quali mostri marini avevano incontrato tra le onde? Chissà cosa immaginavano mentre il vento soffiava sempre su quella dolce sponda e sui tetti dei Templi sacri di Pyrgi.

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