Suggestivi scorci tra fiumi, laghi, sentieri, prati e boschi rendono il Parco regionale di Veio un luogo unico dove scoprire la natura nel suo rigoglioso splendore (Ph. courtesy Marco Sances)

Il Lazio, la culla di Roma, degli antichi Romani e prima di loro del grande e misterioso popolo degli Etruschi, è una regione bellissima. Non manca nulla tra tutte le meraviglie possibili: mare, boschi, monti, laghi, città antichissime con i loro infiniti tesori architettonici e archeologici, piccoli borghi sospesi nel tempo e tanti parchi, pieni di vita e paesaggi mozzafiato.
Tra questi, nel 1997 prende vita il grande Parco Naturale Regionale di Veio. Con un’estensione di quasi 15000 km quadrati, a nord di Roma, è un territorio trasformatosi geologicamente nel corso dei millenni. Le dolci colline boscose, gli ampi pascoli verdi, i percorsi ameni lungo le rive dei fiumi, hanno origine da enormi cataclismi ed eruzioni vulcaniche. Le tracce sono visibili nelle forre, canyon spettacolari, profondi e spesso con pareti a strapiombo, risultato dell’erosione del suolo dovuto allo scorrimento millenario dei numerosi corsi d’acqua di falda, e ancora ne sono testimonianza i grandi depositi di tufo giallo e del lapillo, dura roccia erede della lava eruttata dai vulcani presenti nell’area in età preistorica le cui caldere, riempitesi d’acqua nel tempo, hanno dato vita ai laghi di Martignano, Monterosi e del Baccano.

Dal nibbio all’allodola, dai lupi alle rane: è ricchissima la biodiversità del Parco di Veio (Ph. courtesy Marco Sances)


Il Parco prende il nome dalla potente città etrusca di Veio, che nel 396 a.C., dopo un lunghissimo periodo di conflitti e battaglie per il controllo degli approdi commerciali lungo il Tevere e delle saline alla foce del fiume, stremata dall’assedio romano durato dieci anni, fu distrutta dalle legioni del dittatore Marco Furio Camillo. Come narrato dalle fonti storiche dell’epoca, con un astuto stratagemma, il generale riuscì a fare entrare i suoi soldati direttamente nella piazza d’armi della città, passando da un cunicolo sotterraneo scavato sotto le mura e conquistandola di sorpresa nottetempo. La città venne saccheggiata, i cittadini ridotti in schiavitù, i vastissimi possedimenti terrieri dell’Agro Veientano divisi tra i Romani. Veio fu poi trasformata dall’Imperatore Augusto nel 27 d.C. in Municipio romano.
Già alla fine del I sec d.C., però, fu completamente abbandonata. Intorno ai suoi antichi confini sorsero lentamente nuovi villaggi romani, stazioni di posta e ville patrizie; sui tracciati già preesistenti, presero a scorrere due grandi strade consolari, la Via Cassia e la Via Flaminia, che unendo quindi la Toscana, l’Umbria e le Marche al Lazio, aprivano di fatto la strada a grandi cambiamenti e a sviluppi commerciali e culturali.

Oggi i resti dell’antica splendida città di Veio che si trova all’interno del perimetro del Parco Regionale, sono ancora visitabili a 15 Km a nord del centro di Roma, affiancati al borgo di Isola Farnese, sulla Via Cassia. I preziosi reperti archeologici provenienti dalle tombe delle sue necropoli e dei suoi templi, su cui spicca il santuario di Portonaccio del VII-V secolo a.C. fra i più venerati di tutta l’Etruria e nei cui scavi fu trovata la famosa statua fittile in terracotta dipinta dell’Apollo di Veio, della fine del VI secolo a.C., si possono ammirare nei più importanti musei italiani, come quello Etrusco di Villa Giulia a Roma o al Museo archeologico nazionale di Firenze.
Con la caduta dell’Impero Romano e le invasioni barbariche di Ungari, Longobardi e Saraceni, le strade, i villaggi, i ponti tutto fu sconquassato e saccheggiato. Le campagne pullulavano di banditi e le terre coltivabili si spopolarono. Nell’VIII secolo vennero però create dalla Chiesa le “domuscultae”, piccoli villaggi e borghi agricoli con l’intento di amministrare e dar nuova vita ai territori.

Il territorio dell’attuale Parco di Veio faceva parte della Domusculta Capracorum, voluta da Papa Adriano I. Pochi secoli dopo, alla fine dell’anno 1000, i piccoli villaggi si trasformarono in borghi fortificati, castelli con torri merlate, possedute e controllate da potenti famiglie baronali: gli Orsini, i Colonna, i Chigi perennemente in lotta tra loro. Sorsero allora il castello della Crescenza, la Torre delle Cornacchie, quella del Bosco, la Torre Vergata e quella di Pietra Petrusa, che davano la possibilità di controllare il territorio invaso dai briganti anche dall’alto e dove le genti che lavoravano i campi si potevano riparare in caso di invasioni e pericoli, dando vita a quelli che divennero gli odierni comuni.

Ed eccoci avvicinarci ai giorni nostri. Dopo i castelli e le nobili famiglie, toccò ai grandi latifondisti suddividersi enormi estensioni di terre che però, a causa della malaria e dell’incuria, vedevano le attività agricole e di allevamento impoverirsi sempre di più. Finalmente, nei primi decenni del XX secolo, sotto lo Stato unitario, tutta l’intera area venne bonificata e la popolazione aiutata con l’istituzione di presidi sanitari locali.

Negli anni Cinquanta, con l’intervento dell’Ente Maremma, tutti i latifondi vennero espropriati, suddivisi in piccole quote e assegnati ad ex braccianti e allevatori delle zone, arricchendo e migliorando notevolmente le condizioni delle popolazioni dell’Agro Veientano. Ciò nonostante, nel dopoguerra, una massiccia urbanizzazione, svuotò di nuovo le campagne di molte braccia, una gran massa di contadini di spostò nelle città e, di contro, una buona parte di borghesia cominciò a costruire ville e villette nelle zone intorno Roma, in campagna, che portarono a cementificazioni e reati ambientali a scapito delle zone agricole e boschive.
Fu per questo che venne istituito il Parco di Veio, al fine di controllare e preservare il territorio, la sua flora e fauna e promuovere attività, quali escursioni, trekking, mostre tematiche, corsi naturalistici, atte ad accrescere e sviluppare l’amore per la natura e il territorio in tutti noi.

Il Parco regionale di Veio, a nord di Roma, ha un’estensione di circa 15mila chilometri quadrati (Ph. courtesy Marco Sances)

Il Parco è uno scrigno di tesori di biodiversità, fiumi e fiumiciattoli, sorgenti, i Bagni della regina, di S. Antonio, dell’Acqua ferruginosa o dell’Acqua Forte, boschi imponenti di cerri ma anche di lecci, di querce sempreverdi o da sughero, alberi di nocciole, pioppi, aceri campestri e ornielli. Il microclima dei sottoboschi così umidi e freschi, danno la possibilità di ammirare sedici varietà di rigogliose felci, il caprifoglio, il bosso, la dafne laurella e l’immancabile alloro.
Macchioline di colore esplodono ovunque in primavera e non solo: sono i fiordalisi cicalini, la linaiola purpurea, lo zafferano odoroso. Fanno capolino dalle pareti di tufo piante rare come la vecchia serena, il ginestrino sottile e il prezzemolo bastardo. Gli animali abbondano, protetti dai guardiaparco che collaborano con i Carabinieri forestali e le Polizie municipali dei Comuni.

Nei cieli del Parco volano alti i rapaci diurni come il nibbio, il falco pellegrino e il gheppio, di notte il barbagianni e il gufo scandiscono il tempo che passa con i loro versi misteriosi mentre il picchio rosso e il picchio verde dormono nei boschi. Un’infinità di altre uccelli popolano i cieli dei pascoli: allodole, cappellacce, pigliamosche, capirosso e quaglie, fagiani e pavoncelle, mentre nascosti tra le erbe, sulle sponde dei fiumi, l’usignolo di fiume, la ballerina gialla la gallinella d’acqua e persino l’airone cenerino, si avvistano facilmente durante una passegiata lungo i sentieri del Parco.
Non mancano i rettili: vipere, il biacco, la rara testuggine di Hermann e il cervone sonnecchiano negli anfratti e tra le rocce, le rane verdi e i rospi intonano i loro cori all’inizio dell’estate. La superstar del Parco, la rara salamandrina dagli occhiali, specie protetta dalla direttiva europea Habitat, si nasconde timida agli sguardi.

I mammiferi regnano ovunque: ricci, istrici, martore, puzzole, tassi, cinghiali e da poco tempo anche i lupi. Il Parco vede anche la presenza di allevamenti di vacca maremmana, antichissima razza allevata fin dai tempi degli Etruschi, di pecore da latte in aziende dedicate alla produzione di formaggio ma anche di miele, olio e grano.
Visitato da migliaia di persone, il Parco di Veio è attraversato da un tratto della famosa Via Francigena, il lungo sentirero di pellegrinaggio che da Canterbury nel Regno Unito giunge fino a Roma attraversando l’Europa per 1700 km. In alcuni dei 9 comuni del parco, Campagnano di Roma, Castelnuovo di Porto, Formello, Magliano Romano, Mazzano Romano, Morlupo, Sacrofano e il XV Municipio del Comune di Roma, i pellegrini possono riposare, rifocillarsi in ostelli e trovare strutture adeguate a sostenere il loro lungo cammino.

Questo magnifico Parco è veramente un posto meraviglioso, una panacea agli effetti stressanti che i ritmi di vita odierni ci impongono. Passeggiare lungo i suoi sentieri, dolcemente accarezzati dalle brezze del bosco, coccolati dai versi degli animali, lasciare che i polmoni si riempiano di aria pulita, gli occhi di luce e bellezza e i sensi tutti finalmente godere dell’armonia che solo la natura possiede, è un regalo prezioso che non lascia indifferenti.


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