In questo tempo natalizio, la parola pastori per quello che essa significa nel contesto culturale, grazie allo scivolamento di significato subìto, già da sola va a consolidare una lunga tradizione, e pertanto potrebbe diventarne l’emblema.
 
Molto probabilmente tra una o due generazioni la parola pastore finirà col significare solo ed esclusivamente “statuina del presepe” e con essa saranno indicati i diversi personaggi dei diorami natalizi, cioè i plastici che rappresentano in maniera originale e immaginifica il paesaggio in cui si inserisce la scena della natività di Gesù: i presepi, appunto. 
 
Particolarmente quelli napoletani che si vedono e si vendono a S. Gregorio Armeno, la strada dei presepi. È lo stesso identico processo che ha subito la parola presepe, la quale già oggi non significa più mangiatoia o, più in generale, stalla; se non presso qualche poeta che si compiace di usare parole arcaiche. 
 
Per effetto della antonomasia il nome pastori nella lingua napoletana si è esteso dai pastori (quelli che pascolano il gregge), di cui si parla nel vangelo di Luca, dove l’evangelista racconta la nascita di Gesù, a tutti gli altri pezzi che formano l’insieme dei personaggi in miniatura che si vedono sulla scena presepiale. Sicché sono “pastori”, nel senso di “statuine” come les santons della Provenza: il bue e l’asinello, Maria e Giuseppe, i 3 Magi, l’angelo, ecc.: uomini e cose, angeli e santi, oggetti in terracotta, e ogni pezzo di cartapesta o scolpito nel legno (famosi quelli della Val Gardena), che nel tempo si è aggiunto all’impianto scenografico.
 
CANTATA DEI PASTORI – La Cantata dei pastori, prima di essere un genere letterario, o, se vogliamo, un contenitore (per usare il linguaggio delle moderne produzioni televisive), è un testo, unico  e originale, destinato alla rappresentazione teatrale. Il fatto di essere rappresentata esclusivamente nel periodo natalizio ne ha fatto una devozione, una liturgia, per quanto popolare: essa porta in scena il mistero della nascita del Salvatore. 
 
L’opera è una narrazione combinata di alcuni filoni: il sogno di un pastorello (Arcadia); le trame infernali per ostacolare la nascita del Messia e lo scontro conseguente tra Uriel e Gabriel: capo dei diavoli il primo, condottiero degli angeli il secondo (tragedia); la vita semplice, modesta, ordinaria di un paese che spesso è il proprio (commedia), lo stesso in cui si sta rappresentando la Cantata; il viaggio di Giuseppe e Maria verso Betlemme per ottemperare all’ordine di Cesare Augusto del censimento della popolazione, e alla volontà di Dio che chiama alla missione redentrice (sacra rappresentazione); fino alla Commedia dell’Arte, che si realizza con l’aggiunta del personaggio Sarchiapone, il quale,  quando è in scena solo con Razullo, recita a soggetto. 
 
I filoni narrativi intrecciandosi  nel corso della rappresentazione teatrale, confluiscono al luogo del presepe e al momento della nascita di Gesù, fornendo insieme, da una parte, concreta storicità all’Avvenimento, e, dall’altra, fondamento teologico al Mistero. Proprio come anticipato nel sottotitolo dell’opera: “Il vero lume tra le tenebre, ossia la nascita del Verbo incarnato”. 
 
Essa fu pubblicata nel 1698 dal religioso palermitano Andrea Perrucci (1651 – 1704). Poi il testo, per le numerosissime repliche, per l’eterogeneità delle compagnie e filodrammatiche le eseguivano, per il mutare di mentalità e sensibilità nel corso dei secoli, ha subito contaminazioni, integrazioni ed adattamenti, con l’inclusione di canti e scene paesane (tra l’altro proprio l’originale si rifà alla commedia dell’arte) si è trasformato assumendo forma e linguaggi delle realtà sociologiche degli attori e delle epoche. 
 
Così ogni città si è creata la sua particolare, tipica, tradizione della Cantata dei pastori. Questo ha comportato che nella scena finale sia stato inserito il canto natalizio “Tu scendi dalle stelle” composto da S. Alfonso M. de’ Liguori; oppure l’altro, in napoletano, sempre dello stesso autore: “Quanno nascette Ninno a Betlemme”. 
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