Dicono – coloro che hanno una vena poetica – che Lampedusa, estremo lembo italiano a sud, sia la porta che, dall’Africa, porta nel cuore dell’Europa. Oggi, dopo l’ennesimo, tragico naufragio di un barcone di migranti (oltre trecento morti, alcuni recuperati in mare, altri incagliati sui fondali, rimasti intrappolati dentro la fatiscente imbarcazione partita dal porto libico di Misurata), in cerca di un futuro migliore, si può dire che quella porta sia sempre di più insanguinata.
 
Quasi settemila morti, alcuni rimasti senza tomba, negli ultimi quindici anni. Storie di naufragi, di addii alla vita senza un perché. Di scafisti che reclamano ed incassano anche quattromila dollari a testa per provare, (viste le condizioni di autentiche ‘carrette’ del mare) a condurre questi poveretti, provenienti dall’Eritrea, dalla Somalia, dal deserto siriano, dalla Turchia nella terra promessa. Sbarcare sulle coste italiane, risalendo lo Stivale, cercando un lavoro onesto e una vita diversa nel Nord Europa, laddove, dalla partenza, sognano di approdare.
  

 
I migranti dall’ennesima tragedia di Lampedusa sono morti inghiottiti dall’acqua. Erano oltre cinquecento, tra di essi molte donne e bambini, stipati all’inverosimile in un barcone vecchissimo e ansimante che, a stento, ne avrebbe potuto portare meno della metà. Quando il barcone é arrivato davanti all’isola dei Conigli, a pochissime miglia, ormai, da Lampedusa, un corto circuito ha sprigionato un incendio. I poveretti si sono spostati tutti da un lato della barca per schivare le fiamme. È stato un attimo, la barca si è inclinata da un lato per l’eccessivo peso, rovesciandosi e andando a picco. In pochi, pochissimi sapevano nuotare. E questo è l’aspetto più triste di questa ennesima storia di morte.
 
Dieci giorni fa, sulle coste siciliane, teatro degli splendidi romanzi dello scrittore Camilleri e delle indagini del Commissario Montalbano, tredici migranti sono morti a pochissimi metri dalla spiaggia. La salvezza era lì, ad una manciata di bracciate. Nessuno sapeva nuotare: li hanno ritrovati con gli occhi sbarrati, gonfi d’acqua. Nell’ultimo naufragio è stato peggio, anche per i soccorritori (pure persone normali, partite dal porto di Lampedusa con mezzi privati).
 
I migranti, caduti in acqua, erano sporchi di nafta, retaggio dell’incendio. Molti di loro sono stati inghiottiti dalle onde perché letteralmente scivolati dalle mani dei soccorritori. La nafta sulla pelle li aveva resi ulteriormente vulnerabili. Sono spariti dalla vita, guardando negli occhi i loro potenziali soccorritori, lanciandogli un ultimo, disperato lampo di luce.
Li hanno raccolti in oltre un centinaio di sacchi scuri, adagiati in un hangar a lato dell’aeroporto di Lampedusa. Ironia del destino: dall’altro lato dell’isola centinaia di turisti trascorrevano il tempo a prendere il sole, godendosi gli ultimi scampoli dell’estate.
 
Sono arrivati il vice-Premier, Alfano, il Presidente della Camera, Boldrini. Parole di speranza: ‘mai più eventi del genere’. A molti – soprattutto coloro che a Lampedusa vivono e che da anni assistono impotenti a drammi del genere – sono sembrate frasi effimere. Occorrerebbe una maggiore protezione delle coste, soprattutto intese durature col nuovo governo libico e con le altre istituzioni dei paesi del Nord Africa. Per adesso la porta di Lampedusa resta insanguinata.
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