In occasione del Natale 2019, il Museo del Tessuto di Prato inaugura una mostra dedicata al pluripremiato costumista cinematografico Massimo Cantini Parrini.
La mostra presenta in anteprima assoluta il suo ultimo straordinario lavoro: oltre 30 costumi realizzati per il film “Pinocchio” di Matteo Garrone, uscito nelle sale il 19 dicembre distribuito da 01 Distribution e interpretato da un cast di assoluta eccezione, con Roberto Benigni nei panni di Geppetto, Gigi Proietti di Mangiafuoco, Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini in quelli del Gatto e la Volpe.
Dei costumi in mostra, 25 sono stati realizzati dalla Sartoria Tirelli, 5 dalla Sartoria Costumi d’Arte Peruzzi, 2 da Cospazio 26, mentre le parrucche da Rocchetti e Rocchetti.
Massimo Cantini Parrini è nato e si è formato a Firenze: dall’Istituto Statale d’Arte di Porta Romana, al Polimoda, fino alla Laurea in Cultura e Stilismo della moda presso l’Università di Firenze.
Nel corso degli studi accademici vince il concorso al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, diventando allievo nel corso di costume del premio Oscar Piero Tosi. In questo maestro assoluto Massimo Cantini Parrini troverà la guida della sua carriera, poiché, oltre all’amore e alla passione condivisa per l’arte del costumista, egli diverrà per il giovane allievo un esempio di dedizione e di vita. La stima accordatagli da Tosi lo porta già giovanissimo ad essere oggetto d’interesse per vari ambienti lavorativi, così è entrato nella sartoria Tirelli come assistente costumista, ed è con questa qualifica che ha esordito nel cinema accanto alla costumista, anche lei premio Oscar, Gabriella Pescucci, che lo chiama a collaborare per oltre dieci anni per grandi produzioni cinematografiche internazionali, teatro lirico e varie manifestazioni.
Massimo Cantini Parrini affianca alla sua professione di costumista una straordinaria passione per gli abiti d’epoca, che colleziona fin dall’età di tredici anni. Ad oggi la sua raccolta vanta più di 4.000 pezzi, che spaziano dal 1630 al 1990, tutti originali e di creatori e stilisti iconici, dai quali spesso trae spunto ed ispirazione per realizzare i suoi costumi.
Massimo Cantini Parrini è l’unico costumista italiano ad aver vinto dalla prima nomination tre David di Donatello consecutivi (2016-2018), oltre ad altri numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali spiccano Nastri d’Argento, Ciak d’oro e premiazioni in importanti festival cinematografici. L’ultimo e più importante riconoscimento è l’EFA (European Film Award).
In curriculum ha più di 50 produzioni da costumista, molte delle quali per registi di fama internazionale. Tra le sue esperienze professionali, emerge significativamente il sodalizio stabilito con Matteo Garrone, che – prima di Pinocchio – lo ha chiamato per realizzare i costumi dei film Il racconto dei Racconti (2015), Dogman (2018).
LA MOSTRA
Il percorso della mostra (fino al 22 marzo 2020) è articolato in due sezioni: la prima dedicata al costumista, alle sue fonti d’ispirazione, al suo lavoro creativo e sul set, la seconda ai costumi del film, accompagnati da immagini tratte dal film stesso, dalla riproduzione di alcune scenografie e da alcuni simbolici oggetti di scena.
La prima sezione permette al visitatore di entrare nel mondo di questo straordinario costumista, di penetrare nella sua grande passione e conoscenza per il costume antico, nel suo modo di lavorare e di progettare i costumi per lo spettacolo.
Un grande video a parete riporta stralci di interviste in cui Massimo racconta il suo vastissimo archivio, come da collezionista è diventato costumista, il dipanarsi del suo processo creativo. Le interviste sono intervallate da interessanti frame tratti dal back stage delle riprese del film Pinocchio, attraverso le quali si tocca con immediatezza il clima del set cinematografico appena concluso.
Un’intera parete è inoltre dedicata ai bozzetti realizzati da Massimo per il film Pinocchio, composti con un interessante mix di tecniche manuali, documentazione fotografica e ritocco digitale. Accanto, una teca raccoglie una selezione di cartelle di lavoro contenenti le diverse campionature di tessuti selezionati per realizzare alcuni dei costumi del film, testimoniando l’accurato lavoro di ricerca che precede la realizzazione di ogni singolo capo o accessorio.
Una lunga pedana accoglie, infine, una selezione di 7 capi d’abbigliamento storici del XVIII e XIX secolo provenienti dalla collezione personale del costumista, utilizzati come fonti di ispirazione diretta per la progettazione dei diversi costumi del film Pinocchio e accompagnati da figurini di moda storici provenienti dalla ricca collezione del Museo. Così, sfilano uno accanto all’altro, un abito femminile da ballo in maschera del 1898 utilizzato come ispirazione per il circo; un abito da cerimonia del 1834-1836 che, per la foggia romantica, ha ispirato l’abito della Fatina, una veste da camera della fine dell’Ottocento che ha fornito uno spunto puntuale per la veste della Lumaca. Inoltre, un abito da cerimonia da bambino servito da modello per la casacca di Pinocchio, una preziosa marsina della fine del XVIII secolo che ha ispirato l’abbigliamento di Geppetto, una straordinaria giacca in panno casentino originale a cui si richiama, nel taglio sartoriale, la giacca del Grillo Parlante, ed infine un outfit maschile della seconda metà del XIX secolo di sapore dandy, che trova puntuali confronti nell’abbigliamento del Gatto e La Volpe.
La seconda sezione rappresenta un vero tributo al film considerato l’evento cinematografico dell’anno, portando in esposizione i 32 costumi realizzati da Massimo Cantini Parrini per vestire i principali personaggi del film.
Il costume di Geppetto è composto da un frac in tela di lino, pantaloni corti sotto il ginocchio e un gilet a righe. Una foggia “fuori moda”, rispetto all’ambientazione di fine Ottocento del racconto, che è in perfetta coerenza con la tendenza propria del costume popolare toscano di richiamarsi a modelli di napoleonica memoria, mentre i magistrali trattamenti di usura comunicano con immediatezza che quegli abiti sono gli unici posseduti da anni dal falegname.
Da sempre il Grillo parlante è rappresentato nelle vesti di persona dotta, di professore, ed è così immaginato dal costumista anche nella versione di Garrone. La piccola giacca in camoscio color muffa riecheggia il taglio del primo frac, capo apparso alla fine del Settecento ma perfezionato agli inizi degli anni Venti dell’Ottocento. Il pantalone è corto, così da mettere in evidenza le gambe magrissime. Al collo indossa una cravatta con fiocco, accessorio che conferisce importanza e autorità.
Una grande pedana ospita Mangiafuoco e 8 burattini del suo teatro. Il burattinaio è avvolto in un cupo cappotto di fustagno di cotone; indossa maglione di lana, pantalone di fustagno di cotone e cappello di feltro. Di fronte a sé, allineati come un immaginario teatrino, i personaggi della Commedia dell’Arte, straordinariamente interpretati da Massimo Cantini Parrini con attenzione alla tradizione e incredibile cura dei particolari.
Spiccano i costumi di Colombina, vestita con un busto steccato a mo’ di corpetto in velluto e gonna di cotone stampato, decorato da nastri increspati con applicazioni di tulle e nappine, quello di Gianduia con giacca di pilor con manopole e alamari in passamaneria, pantalone al ginocchio in raso di seta, gilet di pilor bordato con passamaneria, feluca in paglia e passamaneria. Assolutamente straordinario anche il costume del Diavolo nella sua vivida rappresentazione del fuoco stesso, composto da giustacore di velluto con applicazioni di strisce sagomate a fiammella bordate di passamaneria e nappine, pantalone di panno con applicazioni di strisce sagomate a fiammella bordate di passamaneria.
Il Gatto e la Volpe potrebbero essere citati come emblemi del gusto contemporaneo per il Vintage. Il primo abbigliato con un tight di lana e gilet di velluto a motivi cachemire, il secondo con cappotto di lana sciallato in astrakan e gilet di seta a piccoli pois, indossano capi vecchi, memori di un fastoso passato. Sono abbigliati da gentiluomini mescolando epoche e stili come due vecchi dandy. Pinocchio, venuto al mondo da poco, non distingue le fogge create con abiti usati, vecchi, logori, sporchi e fuori taglia che anzi, ai suoi occhi, hanno un effetto elegante.
L’abito di Pinocchio campeggia al centro della sala mostre temporanee del Museo, realizzato in tessuto jacquard con effetto increspato. Dalla vecchia e unica coperta che Geppetto possiede – anch’essa ricavata da una stoffa antica e pregiata ormai distrutta – il falegname cuce farsetto, pantaloni, cappello e gorgiera per il suo bambino, tutti dalla stessa stoffa. La forma è semplicissima: Geppetto è un falegname non un sarto, sebbene conosca le proporzioni ben più di un sarto! Il famoso abito di carta e il famoso cappello di mollica di pane, vengono ripensati dal costumista come un total look. La scelta è stata motivata da esigenze di copione, dal momento che sarebbe stato impossibile gestire sul set continui cambi di abiti di carta o utilizzarli nelle scene girate sotto la pioggia, nel fango o al mare. La decisione, approvata dalla regia, ha permesso di trasformare Pinocchio nell’unica nota di colore del film. Il rosso, colore amato dal costumista, rappresenta la rabbia, l’amore, il sangue, il fuoco, la vita, il colore della vergogna: tutti elementi che fanno parte delle avventure della fiaba e dello stesso protagonista.
La foggia dell’abito della Fata Turchina è presente nella versione da bambina e da adulta. Entrambi sono realizzati in garza di cotone, stoffa che ha permesso di invecchiare l’abito mantenendo, tuttavia, la sua leggerezza. L’aspetto degli abiti richiama il periodo romantico dell’Ottocento, intorno al 1836. Il colore è diafano e si intona perfettamente alla famosa chioma di capelli, in questo caso resa argentea.
Il cane Medoro è presentato in una splendida settecentesca livrea composta da giacca, gilet, pantalone in seta moiré decorati con galloni in argento brunito. Il Giudice gorilla indossa una toga di tessuto moiré con applicazione di cordoni e nappe in oro brunito e gorgiera di tarlatana.
Il costume della Lumaca riflette il suo carattere flemmatico: rappresentata così come Collodi l’aveva immaginata, la Lumaca indossa le vesti di una sorta di bambinaia o di una cameriera che da sempre si prende cura della Fatina. Indossa, infatti, una veste da camera con coprispalle e cuffia, il tipico abbigliamento da mattina adottato da tutte le signore dell’Ottocento. Le vesti sono bagnate dalla sua bava, consunte dal tempo, dalla polvere e dall’usura, tutto a causa della sua atavica lentezza e stanchezza. I colori sono diafani ma quello prevalente è il mauve, colore di moda sul finire del XIX secolo, scelto per il richiamo alla calma e alla serenità.
Meritano un’attenzione particolare anche le fogge dei personaggi del circo, i cui costumi racchiudono tutto lo spirito e la fantasia che il costumista ha voluto ricreare per questa scena. Il circo con i suoi personaggi, rappresenta la libertà, la stravaganza, il divertimento, la burla e il gioco della doppia personalità. L’ispirazione, in questo caso, non risiede tanto nel modello sartoriale, quanto piuttosto nell’essenza che il circo ottocentesco esprime. Nel film, il circo è povero e popolare ma la bellezza del travestimento trasforma lo spettacolo in qualcosa di eccezionale, ricco di fascino e mistero.
Spiccano per incredibile bellezza congiunta a rara, quasi onirica fantasia compositiva, i personaggi femminili tra cui la ballerina in tutù con busto di velluto maltinto, la donna cavallo e la donna a tre teste, forse il costume più complesso di tutto il film.
Il cinema è forse l’industria creativa più vicina alle persone e permette di veicolare contenuti culturali attraverso modalità e linguaggi che sollecitano la curiosità anche dei non addetti ai lavori. In questo senso gli straordinari costumi realizzati dal Massimo Cantini Parrini rappresentano un potente attrattore per promuovere la cultura e la conoscenza del tessuto, del costume e della moda antiche e contemporanee.
L’idea di esporre i costumi del film Pinocchio in simultanea all’uscita della pellicola nelle sale cinematografiche rappresenta una assoluta innovazione in campo museale ed è stata possibile dalla generosa collaborazione del costumista, del regista, della produzione e della distribuzione del film.
Dal nostro punto di vista rappresenta un modo del tutto inedito di offrire al pubblico un’esperienza “multimediale”, nella quale la mostra ha la funzione di “aumentare” l’esperienza della finzione cinematografica attraverso la visione dal vero dei costumi, con tutto il coacervo di conoscenze e sapere artigiano di cui sono fatti.