Cinema e letteratura sono sempre stati legati da un rapporto intenso, viscerale, che ha generato in passato eccellenti lavori e ha condotto le due arti a una riflessione sui propri mezzi fino a quel momento mai sperimentata. 
 
L’ultima Mostra del cinema di Venezia è sembrata essere ancora consapevole dell’importanza di questo legame e prosegue su una tradizione capace di incuriosire e provocare lo spettatore, grazie alle pellicole che Mario Martone e Abel Ferrara hanno dedicato a due capisaldi della cultura italiana come Giacomo Leopardi e Pier Paolo Pasolini.
 L’attore Willem Dafoe nei panni di Pierpaolo Pasolini  

 L’attore Willem Dafoe nei panni di Pierpaolo Pasolini  

 
Due figure vissute in epoche profondamente diverse, ma legate dalla ricerca di un assoluto artistico, che in Pasolini è sfociata nel graffiante e impietoso ritratto della società e della politica, mentre in Leopardi in un testamento poetico che è stato il terreno di confronto privilegiato della poesia italiana moderna e contemporanea.
 
Le due pellicole, pur affrontando temi e personaggi differenti, sembrano proporre allo spettatore uno sguardo piuttosto oggettivo sulla materia trattata. Poche divagazioni e politica e molti dettagli storici, quasi didascalici. 
 
IL GIOVANE FAVOLOSO
Nel “Giovane favoloso” Elio Germano veste i panni del malinconico e complesso Giacomo Leopardi, interpretando un’intensa biografia cinematografica legata al percorso emotivo e interiore del poeta di Recanati: dall’infanzia vissuta sotto le cure dei due precettori ecclesiastici, durante la quale il giovane Leopardi passò interminabili ore nella biblioteca paterna dando forma al proprio amore per la letteratura, fino ai primi viaggi e alla scoperta del mondo “esterno”, all’età di 24 anni. Un film che non ha finora ottenuto l’avallo della critica italiana, che lo ha definito troppo attaccato alle vicende storiche e poco imbevuto di romanticismo e partecipazione, come se lo stile documentaristico prevalesse su quello drammatico.
 
PASOLINI – Discorso simile per l’opera del regista americano Abel Ferrara, che con “Pasolini” ha messo in scena le ultime 48 ore di vita dell’intellettuale emiliano, ucciso il 2 novembre 1975 sul Lido di Ostia. Accolto da applausi tiepidi, il film sembra scontare un vecchio vizio italiano, rappresentato da quell’unione indissolubile tra ideologia e cultura, con la prima diventata troppo spesso metro di giudizio della seconda. Il film comincia con un’intervista rilasciata da Pasolini in occasione dell’uscita nelle sale di “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, di cui nel film viene mostrato uno spezzone. 
 
Per tutta la durata della pellicola vedremo il regista, scrittore e poeta italiano mostrato in diverse occasioni della sua quotidianità, con gli amici di una vita Ninetto Davoli e Laura Betti (interpretata da Maria de Medeiros), la madre (Adriana Asti) e il cugino Nico (Valerio Mastandrea). Per poi concentrarsi sugli intensi momenti dietro alla macchina da scrivere, tra i contributi per il Corriere della Sera (Scritti Corsari) e l’opera incompiuta e postuma Petrolio, che denunciava il malaffare della politica con stile tagliente e satirico.
 
Trionfo di critica per l’attore Willem Dafoe, celebrato e applaudito in occasione della conferenza stampa di presentazione del film, la cui somiglianza fisica con Pasolini è stupefacente.

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