Nel momento in cui si vince è giusto lasciare spazio all’euforia. L’aspettativa, l’attesa, poi la gioia, il trionfo e quindi il momento di giubilo personale o di gruppo, da ogni angolazione e per ogni livello di professione e professionalità. Puntiamo ora la nostra attenzione sul cinema, mondiale in primis, poi americano, infine italiano, guardiamo alla notte degli Oscar quale manifestazione più importante del settore, ma anche la storicamente più manipolata.
Bene, sapendo questo e avendo accettato la sfida, possiamo invece concentrarci ed analizzare il successo dell’anno, almeno per noi, pensando a quello che splende sotto al nostro Tricolore, focalizziamoci sulla figura di Paolo Sorrentino (un talento del cinema), sul suo intero scenario produttivo ed elogiamo “La grande bellezza / The Great Beauty”: Oscar come miglior film straniero.
Erano 15 anni che l’Italia non trionfava nella categoria, con questo premio il Paese di Fellini, Scorsese e in parte Maradona mantiene il primo posto nella particolare classifica delle nazioni che hanno ricevuto il maggior numero di statuette dorate.
Il film vuole raccontare la decadenza morale di un’umanità effimera, di passaggio, osservata indifferentemente da una città cosmopolita che negli anni si lascia sedurre senza mai afferrare. La dolce vita cafona è stata ribattezzata.
Perchè ci riporta indietro nel tempo ad una serie di utopie lasciate sospese per troppo tempo, ma allo stesso tempo permette ad un’intera generazione di rivelarsi, fare outing dei propri errori e correggere la rotta: ecco il monito, la morale intrinseca che ha elevato il film ad opera d’arte. Con tutti i suoi meccanismi dietro, naturalmente. Poi tutti a bordo del grande carrozzone, media scatenati, Italia come al mondiale di calcio del 2006 di nuovo al centro del mondo.
Ma per quanto? Una considerazione di cotale prestigio porta alla luce due evidenti situazioni, una dicotomia cinematografica diventato caso più unico che raro. Questa vittoria unisce infatti sia il fascino della madrepatria sullo schermo, almeno agli occhi del resto del mondo, sia i suoi evidenti difetti.
Vincere è come un doping naturale, ti esalta nella considerazione della bravura personale, ti deprime l’attimo dopo in cui ci si rende conto che l’obiettivo della risalita è complesso e ancora lontano.
Il ritorno ad una classe culturale cinematografica di alto livello. Abbiamo imboccato il giusto percorso, ora dobbiamo definitivamente realizzare che non è importante essere sul red carpet (vero Sabrina Ferilli??), ma curare con decisione la nostra indole statica, investendo su nuovi progetti. Dare spazio al talento giovane, arginare il consueto e ritemprare attraverso il cinema un Paese in astinenza da euforia. Grazie a Sorrentino ci siamo guadagnati il rispetto per tornare al vertice.