L’arte di buttarla in caciara vista dalla Germania: ‘Omamamia’, una tedesca tra i luoghi comuni sull’Italia
Foreword: per i produttori tedeschi in agguato che cercano di capire cosa ho scritto: copiate e incollate su Google translate e rotolatevi dalle risate. È uno spasso infinito, a volte le traduzioni sembrano escogitate da Totò e Peppino. Dunque.
Invitato dalla produzione, ho assistito a una Premiere di “Omamamia”, mi godo un’ora e mezza di irriverentissima presa per i fondelli alla mia città natale e, a proiezione terminata, sfodero artigli di plastica e piazzo un rigore ancora non segnato.
Questa la storia di Omamamia, crasi tra oma (nonna in tedesco) e Mammamia, la più internazionale e multisignificante delle espressioni italiane. Quando il mondo sembra crollarle addosso, la bavarese oma Marguerita decide di vivere il sogno di una vita: andare a Roma in udienza privata dal Papa. Così, Marianne Sägebrecht, l’indimenticabile protagonista del film perla Bagdad Café, parte dalla Bavaria e giunge nella città eterna ospitata da quella che riteneva essere una brava nipotina in trasferta (Miriam Stein) per venir presto braccata dalla figlia (Annette Frier) che la vuole riportare a casa sana e salva. Cosa può fare una tedesca a Roma?
Questi gli step canonici da coprire: 1) Innamorarsi di Roma, 2) Conoscere nel giro di 24 ore un romano pieno di problemi del quale invaghirsi senza sapere perchè 3) Capire a poco a poco che l’unico modo di sopravvivere nell’Urbe è quello di dominare “l’arte del buttarla in caciara”, (e qui Google translate fa una traduzione alla Totò e Peppino) cosa che le verrà immancabilmente insegnata, appunto, dal romano del quale si invaghirà: un Giancarlo Giannini in grande spolvero.
Stereotipi a valanga nel film di Tomy Wigand, con il nostro attore che si diverte come un matto dall’inizio alla fine regalandoci due momenti di recitazione sublimi.
Il primo: Giannini ferma una macchina che lo sta investendo. Era in sceneggiatura? Forse no. Nel gesto col quale lo fa si intravedono in ordine sparso: Sordi, Troisi, Mastroianni, Totò, Peppino, Benigni e Walter Chiari. E molti altri. E molto altro. Guardatelo e riguardatelo: è in nuce il poster trasfigurato di tutta la commedia dell’arte all’italiana e di un’intera disarmante psicologia puramente made in italy.
Il secondo: davanti a una que-stura attonita, Giannini la “butta in caciara” per scagionare Oma Margherita dalla colpa di avere spruzzato, durante un’udienza privata, dello spray irritante negli occhi del Papa. Momento che ha fatto partire l’ola di risate dei 100 tedeschi in sala e mi ha provocato un italianissimo esame di coscienza silenzioso. Buttarla in caciara è come arrampicarsi sugli specchi col sapone sopra: ci riusciamo solo noi con questa classe e poesia. Cosa significa buttarla in caciara? Più o meno questo: convincere la mamma a guardare un asino che vola quando ti becca con le mani nella Nutella.
A proiezione finita, al momento delle domande, mi presento immediatamente con un “Sono italiano e vengo da Roma”, e scatta una risata incontrollabile, come fosse un richiamo a tutti i momenti umoristici di “Omamamia”. O-mamma-mia, penso anch’io divertito congratulandomi col produttore per averci caricaturizzato in modo così misericordioso.
Alla fine della serata, in una sala attigua al cinema, tra una chiara e un bicchiere di rosso, espongo in privato i miei pensieri romani agli allietati produttori, buttandola elegantemente in caciara onde riscattare la mia città. “In fondo”…spiego…”Se ci pensate bene…il paradiso sarebbe unire i tratti migliori dell’Italia e migliori della Germania: fantasia e organizzazione. E l’inferno…esattamente l’opposto: i peggiori…Caciara e inflessibilità. Con audacia mi inerpico infine su una teoria che abbozzo lì per lì: “l’organizzazione fantasiosa”, come sintesi del meglio delle nostre culture, o anche “Fantastica organizzazione”, della quale fornisco immediate prove fotografiche mostrando dall’iphone un’ingegnosa costruzione fatta da mia figlia italo-tedesca di quattro anni.
Il momento più bello di un film è quello di parlare del film con chi lo ha fatto e pensato. In fondo, una presa in giro bonaria, ha sempre dei puntualissimi risvolti salubri. È il sarcasmo cattivello che rimane critica inerte a essere ributtante e perennemente infruttuoso.
Prendiamoci pure in giro dunque, con bontà e ironia, può essere un’originale forma di correzione fraterna.
Omamamia: una catarsi biculturale collettiva, made in Germany.