Olivetti typewriters at the “Olivetti Beautiful Company” exhibition (Photo: Luigi Bertello/Dreamstime)

In the annals of business history, few companies have left as indelible a mark as Olivetti. Founded in 1908 by Camillo Olivetti in Ivrea, Italy, the company began as a small workshop with a mere 20 workers and a capital of 350,000 lire. Who would have thought that such humble beginnings would develop into a multinational corporation that was to become a symbol of our Made in Italy?

The story of Olivetti is not just about a company, though, it’s about a vision, a philosophy, and a legacy that transcends time. When Adriano Olivetti took over his father’s typewriter business in 1932, he didn’t just inherit a company: he embraced a mission. A businessman, politician, chemical engineer, and entrepreneur, Adriano was a man of many hats but with one dream: to put people and communities at the heart of business.

Adriano’s management strategy was revolutionary for its time. He believed in the competitive advantage of treating workers fairly and investing in their well-being. This philosophy was not just altruistic, it was strategic: the profits from sales were reinvested in innovation, expansion, higher salaries, and social services. This approach was so groundbreaking that it reportedly inspired IBM’s mantra good design is good business

Under Adriano’s leadership, Olivetti grew from being a modest establishment of under 900 employees to a multinational corporation with nearly 80,000 workers. The company evolved its production from mechanical calculators and typewriters to computers, printers, and several other electronic devices. Innovation was at the core of Olivetti’s production strategy, leading to the creation of the world’s first personal computer, the Programma 101 (P101), in 1964.

But the innovation did not stop at products: Adriano employed famous designers to design his typewriters, many of which gained a spot in the New York Museum of Modern Art’s collection. He also maintained a peculiar link to the city of Ivrea, believing that the factory should be the core of the local community. 

Olivetti’s commitment to his employees and the community was not just lip service: the company financed a network of free medical clinics in the areas around factories in Italy; it set up nurseries and kindergartens for nominal fees and subsidized after-school services for the children of workers. Indeed, this focus on workers’ conditions increased their loyalty toward their employer, creating a virtuous cycle of productivity and well-being.

But what set Olivetti apart was also its unique approach to business culture. Adriano involved poets, writers, and other intellectuals in the actual running of the company, and this wasn’t a whimsical decision, it was a strategic move to run an inspired business and expose workers to the thinking of minds trained in different disciplines. Culture and art were made part of many aspects of company life.

Olivetti Valentine typewriter (Photo: Ifeelstock/Dreamstime)

So, was Olivetti’s culture sustainable? The answer is a resounding yes. Despite the challenges of the 1950s, including a lack of support from the Italian state and suspicions of surveillance by the CIA, the company’s culture endured. Even after the sudden deaths of Adriano Olivetti and Mario Tchou, the head of the Olivetti Elea Project, the company’s spirit lived on. Today, Olivetti is a subsidiary of the TIM Group and operates in the field of information technology: the company is now focusing on the Internet of Things (IoT), leveraging its assets and expertise in 5G.

Olivetti’s story is all about the power of a vision, of innovation, and of a people-centered approach to business. In a way, it challenges our understanding of what a company can be and what it can achieve; it reminds us that a dream can become reality if you work on it.  

And, as we look back at Olivetti’s journey, we are also reminded of the company’s significant contribution to our Made in Italy, because its commitment to quality, innovation, and design embodies perfectly the enduring appeal of Italian products and approach to business. 

Negli annali di storia aziendale, poche aziende hanno lasciato un segno così indelebile come Olivetti. Fondata nel 1908 da Camillo Olivetti a Ivrea, in Italia, l’azienda nasce come una piccola officina con appena 20 operai e un capitale di 350.000 lire. Chi avrebbe mai pensato che da così umili origini si sarebbe sviluppata una multinazionale che sarebbe diventata un simbolo del nostro Made in Italy?

La storia di Olivetti non riguarda solo un’azienda, ma una visione, una filosofia e un’eredità che trascende il tempo. Quando Adriano Olivetti rilevò l’attività di macchine da scrivere del padre nel 1932, non ereditò solo un’azienda: abbracciò una missione. Uomo d’affari, politico, ingegnere chimico e imprenditore, Adriano era un uomo dai molti ruoli ma con un unico sogno: mettere le persone e le comunità al centro del business.

La strategia di gestione di Adriano era rivoluzionaria per l’epoca. Credeva nel vantaggio competitivo di trattare i lavoratori in modo equo e investire nel loro benessere. Questa filosofia non era solo altruistica ma strategica: i profitti delle vendite venivano reinvestiti in innovazione, espansione, salari più alti e servizi sociali. Questo approccio è stato così innovativo che, secondo quanto riferito, ha ispirato il mantra di IBM: good design is good business ovvero un buon design è un buon affare.

Sotto la guida di Adriano, Olivetti è passata dall’essere una modesta azienda con meno di 900 dipendenti a una multinazionale con quasi 80.000 dipendenti. L’azienda ha evoluto la sua produzione da calcolatrici meccaniche e macchine da scrivere a computer, stampanti e molti altri dispositivi elettronici. L’innovazione è stata al centro della strategia produttiva di Olivetti, che ha portato alla creazione del primo personal computer al mondo, il Programma 101 (P101), nel 1964.

Ma l’innovazione non si è fermata ai prodotti: Adriano ha impiegato famosi designer per progettare le sue macchine da scrivere, molte delle quali hanno guadagnato un posto nella collezione del Museum of Modern Art di New York. Mantenne anche un peculiare legame con la città di Ivrea, ritenendo che la fabbrica dovesse essere il fulcro della comunità locale.

L’impegno di Olivetti nei confronti dei suoi dipendenti e della comunità non è stato solo formale: l’azienda ha finanziato una rete di cliniche mediche gratuite nelle aree attorno agli stabilimenti in Italia; istituì asili nido e scuole materne a canone simbolico e servizi di doposcuola agevolati per i figli dei lavoratori. In effetti, quest’attenzione alle condizioni dei lavoratori ha aumentato la loro lealtà verso il datore di lavoro, creando un circolo virtuoso di produttività e benessere.

Ma ciò che distingueva Olivetti era anche il suo approccio unico alla cultura d’impresa. Adriano ha coinvolto poeti, scrittori e altri intellettuali nella gestione effettiva dell’azienda, e questa non è stata una decisione stravagante, è stata una mossa strategica per gestire un’attività ispirata ed esporre i lavoratori al pensiero di menti formate in diverse discipline. La cultura e l’arte entrarono a far parte di molti aspetti della vita aziendale.

Quindi, la cultura di Olivetti era sostenibile? La risposta è un clamoroso sì. Nonostante le sfide degli anni ’50, tra cui la mancanza di sostegno da parte dello Stato italiano e i sospetti di sorveglianza da parte della CIA, la cultura dell’azienda resistette. Anche dopo la morte improvvisa di Adriano Olivetti e Mario Tchou, capo dell’Olivetti Elea Project, lo spirito dell’azienda è sopravvissuto. Oggi Olivetti è una società del Gruppo TIM e opera nel campo dell’Information Technology: l’azienda punta ora sull’Internet of Things (IoT), sfruttando i suoi asset e le sue competenze nel 5G.

La storia di Olivetti parla del potere di una visione, dell’innovazione e di un approccio al business incentrato sulle persone. In un certo senso, sfida la nostra comprensione di cosa possa essere un’azienda e cosa può ottenere; ci ricorda che un sogno può diventare realtà se ci si impegna.

E, guardando indietro al viaggio di Olivetti, ci viene in mente anche il contributo significativo dell’azienda al nostro Made in Italy, perché il suo impegno per la qualità, l’innovazione e il design incarna perfettamente il fascino duraturo dei prodotti italiani e l’approccio al business.


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