Benedetti Abruzzesi” è il titolo di un capitolo del libro “Noi siamo Bruzzesi” (ed. Menabò, 2017) di Mauro Tedeschini, emiliano di Modena, ex direttore del giornale abruzzese “il Centro”, che sembra richiamare in antitesi “Maledetti Toscani” di Curzio Malaparte. Tedeschini non è certamente accondiscendente con gli abruzzesi. Anzi, presenta più i difetti che i pregi. Lo stesso nome deformato in “bruzzesi” è un chiaro riferimento alla zingara Vera Casamonica che a “Porta a Porta” davanti all’abruzzese Bruno Vespa dichiara: “io non sono sinti, sono bruzzese, zingara bruzzese”. È evidente che per Tedeschini gli abruzzesi non si identificano con gli zingari, anche se ve ne sono numerose comunità. Nel dialetto abruzzese “zingaro” assume il significato di chi si arrangia, si dà da fare, senza derubare gli altri.

Gli abruzzesi sono quelli “della coccia di sante Dunate”, cioè testardi e determinati, spesso senza elasticità mentale. Forse il retaggio d’un passato ripetitivo, statico, tradizionale. Per questo il campanilismo è sempre stato il fenomeno che ha caratterizzato la gente, ferma e sicura sotto il proprio campanile.  Ma ci sono esempi di ragazzini, come Edoardo, dieci anni, che nella tragedia di Rigopiano, ha dimostrato intelligenza e coraggio, prendendo in braccio la piccola Ludovica e raccontandole favole. Da qui, da questo ragazzino bisogna ricominciare, scrive Tedeschini, per un Abruzzo nuovo. Un Abruzzo che abbandoni gli eroi “sbagliati, come D’Annunzio o Silone, o addirittura tipi come Antonio Razzi, per conoscere e valorizzare uomini come Ettore Troilo, fondatore della Brigata Maiella. Già Alberto Savinio, in “Dico a te, Clio” scriveva: “I suoi grandi uomini, l’Abruzzo li indìa”.

In Abruzzo l’emigrazione è stato il fenomeno che lo ha caratterizzato da un centinaio di anni, con le testimonianze di Pietro Di Donato, “Cristo tra i muratori” o di Pascal D’AngeloSon of Italy”, ma anche l’immigrazione ha permesso che un personaggio come Dacia Maraini si insediasse a Pescasseroli e ne descrivesse ambiente e personaggi come in “Colomba”. L’ultima piaga, che ha colpito profondamente la finanza abruzzese è il fallimento delle banche, per incompetenza come nel caso di Domenico Di Fabrizio della Carichieti o per mancanza di controlli come per le altre banche abruzzesi.

Ma l’Abruzzo ha scritto pagine di storia straordinaria, soprattutto nella seconda guerra mondiale, come si può leggere nel libro “Terra di libertà, storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale” a cura di Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta, in cui si dimostra che a cominciare da Carlo Azeglio Ciampi alle migliaia di ex prigionieri alleati, i “Benedetti Abruzzesi” li hanno nascosti, sfamati e accompagnati verso la libertà, con l’organizzazione delle fughe da Sulmona a Casoli, dai luoghi occupati dai tedeschi alle terre liberate.

Spesso si è parlato dell’Abruzzo in maniera retorica, con stereotipi come “forti e gentili”, che Costantino Felice, tra i maggiori storici abruzzesi, ha cercato di sfatare e demitizzare, definendoli “trappole dell’identità”. Forse anche la frase di Ciampi, riportata da Tedeschini “L’Abruzzo è la terra che ti dà subito del tu” potrebbe avere sapore di retorica, ma Ciampi ha conosciuto direttamente la gente di Scanno e di Sulmona, negli anni 1943-44, che lo aiutò perfino a salvarsi dagli alleati che lo ritenevano una spia, come scrive nel diario, pubblicato nel libro “Il Sentiero della libertà, un libro della memoria con Carlo Azeglio Campi” (Laterza 2003), perché sul suo passaporto c’era un visto tedesco, avendo trascorso uno stage in Germania per motivi di studio.

C’è un Abruzzo complesso, multiforme, anche per ragioni geografiche che spesso ne determinano storia e carattere, passato e presente. Un segno evidente è la cucina abruzzese, con una storia che parte dal secolo sedicesimo, con i Caracciolo di Villa Santa Maria e la scuola di chef, che hanno girato le più famose cucine del mondo, fino a quella di Hitler, in Austria al “Nido dell’Aquila”, dov’era cuoco, Salvatore Paolini, originario di Villa Santa Maria. La storia dell’arte culinaria abruzzese continua, oggi, con Niko Romito e le associazioni dei cuochi villesi e abruzzesi. Il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 ha avviato l’orologio della morte e del dolore. Una via crucis, giunta sul calvario, in attesa d’una resurrezione ancora da arrivare.

La tragedia del terremoto aquilano ha offerto a giornalisti e scrittori di allargare il discorso sulla Regione: Carlo Petrini, Claudio Magris, Camillo Langone, ecc. Ma non è certamente una fortuna o un “gioco” per l’Abruzzo, come pare sostenga Tedeschini, avere “un ruolo importante…di ricostruire mezza Italia, ormai consapevole di essere a rischio del susseguirsi di terremoti sempre più devastanti”. Il problema della sismicità della terra è e sta diventando sempre più un problema universale. La salvaguardia del globo terrestre spetta a tutta l’umanità. 

In realtà, tanti abruzzesi si sono occupati di conoscere e studiare la loro terra. Anche in base al fatto che esiste in Abruzzo l’Osservatorio Astronomico di Campo Imperatore. Interessante la ricerca di Silvia Scorrano, “Le acque sacre in Abruzzo”, che ha la caratteristica della scientificità e della seduzione. Il percorso delle Acque Sacre non è che un’immersione nella storia dell’Abruzzo, come se secoli e millenni non fossero trascorsi. Una pagina leggibile ieri come oggi, un album in cui le fotografie non sono mai sbiadite. Che l’acqua sia un elemento fondamentale per soddisfare i bisogni primari di vita è evidente. E che intorno a tale elemento sia sorta una sacralità, una devozione plurimillenaria sia pagana che cristiana, non fa che accentuare la necessità dell’uomo di trattare l’acqua come un bene assoluto. Una cosa divina. Ma in Abruzzo, negli ultimi tempi, l’acqua è diventata una calamità, per cattiva gestione e per inquinamento.

La promozione culturale, a livello internazionale, intrapresa da anni da Goffredo Palmerini, giornalista aquilano, per far conoscere la realtà italo-abruzzese, ha prodotto varie pubblicazioni, l’ultima delle quali “L’Italia nel cuore”. In realtà, si tratta di numerosi volumi. Innumerevoli i suoi articoli e i servizi pubblicati dalle agenzie internazionali e su numerosi giornali e riviste in lingua italiana nel mondo; “un conto approssimato per difetto in 50mila pagine”, sottolinea l’autore, che presenta fatti e personaggi che hanno segnato e segnano la storia. Un lavoro da certosino o da donna scannese che usa la filigrana con grande pazienza e profonda intelligenza. Mauro Tedeschini, scrive alla conclusione del suo libro: “Quel che ti dà speranza dell’Abruzzo è che basterebbe così poco per farne veramente la Svizzera d’Italia… Insomma ce la farà l’Abruzzo? Io, nel mio piccolo, faccio il tifo, perché questo pezzo d’Italia che vive all’ombra della Majella e del Gran Sasso mi è rimasto nel cuore”. 

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