Il rischio adesso è la scissione perché – inevitabile che sia così – i nodi verranno tutti al pettine. Cento franchi tiratori hanno deliberatamente affossato le velleità del Partito Democratico di vedere un proprio candidato come nuovo inquilino del Quirinale, solenne sostituto di Giorgio Napolitano. Prima Marini, poi Prodi, brutalmente impallinati, tradendo le indicazioni espresse dal Segretario Bersani.
 
La guerra delle “correnti”: D’Alema, Veltroni, i giovani del partito, il gruppo che si rispecchia nelle strategie del sindaco di Firenze, Renzi. L’assalto alla nomenclatura del partito da parte di coloro che sognano, nel prossimo Congresso – a questo punto da convocare il prima possibile – di dare una spallata a chi il Partito Democratico ha contribuito a far crescere.
 
Le ultime, drammatiche ore prima del ripiegamento sull’elezione di Giorgio Napolitano hanno ormai zavorrato il partito, o ciò che resta di esso: squassato, travolto dagli eventi, senza una guida univoca. Insomma, un non-Partito, se è vero che un partito politico dovrebbe adottare senza tentennamenti – o tradimenti – la linea strategica delle propria parte dirigente.
 
Invece, gli sviluppi dell’ultima settimana, quella che ha condotto alla clamorosa rielezione di Napolitano, orientata dal fallimento della politica italiana e, in particolar modo, del Partito Democratico, hanno largamente prospettato la fine di un sogno. Quello incarnato dal vertice del PD e di coloro (oltre otto milioni di elettori) che lo hanno scelto, appena a fine febbraio, per salire in sella al nuovo Governo, sostituendo Monti e il suo Esecutivo tecnico.
 
Lo sfratto del Presidente Bindi, il fallimento della linea del Segretario Bersani, tradito pure dalla sua portavoce (Alessandra Moretti) alle primarie vinte nei confronti di Renzi. Un partito che non c’è più, in cui prevalgono interessi personali. Conflitti senza quartiere. Lotte disperate tra vecchi sceriffi e nuovi, aspiranti reggenti. Il vecchio contro il nuovo: non c’è stata osmosi, tutt’altro, nella nomenclatura-Bersani tra i fondatori del Partito e i califfi arrembanti, come Matteo Renzi.
 
La frattura insanabile produrrà un altro strappo. Il Partito Democratico perderà pure un suo alleato: quel SEL di Nicky Vendola che, nella corsa al Quirinale, ha avallato l’idea del Movimento Cinque Stelle di candidare il costituzionalista Stefano Rodotà. Ma Bersani (e il vertice del Partito), dopo aver perduto per strada Marini e Prodi, colpiti al cuore dal fuoco amico, non hanno scelto Rodotà (che pure registrava un passato di “sinistra”), preferendo implorare Napolitano di accettare la ricandidatura al Quirinale.
 
C’è la base degli elettori del PD che non comprende la strategia e che, sul web, contesta apertamente i reggenti del Partito, ormai dimessisi e lontani dai giochi. Si andrà verso un Governo tecnico, ancora una volta, quello che non volevano gli elettori del Partito. Ma il PD, ormai, marcia spedito verso una clamorosa scissione, squassato alle proprie fondamenta dal potere di tante “correnti”.
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