Marco Cantini, cantautore fiorentino, è l’autore di “Siamo noi quelli che aspettavano”, un viaggio nel tempo, diviso in tre atti, un concept storico-generazionale di 15 canzoni che racconta le vicende di un professore bolognese e il graduale passaggio da una condizione migliore a una peggiore, da ricercatore a insegnante a chiamata. La trasposizione temporale crea il pretesto per incontrare artisti e scrittori, nei giorni in cui prendevano coscienza delle loro capacità: Pier Vittorio Tondelli, Andrea Pazienza, Frida Kahlo, Filippo Scozzari, Tanino Liberatore, Stefano Tamburini, Massimo Mattioli.
E’ la nostalgia o la voglia di comprendere i tanti fallimenti degli ultimi decenni, che porta il protagonista a voltarsi indietro e a sognare di ritornare a Bologna, nel 1977, tra le prime radio libere, i carri armati di Stock 84, le barricate del movimento studentesco e gli scontri con la polizia.
Nei giorni in cui il punk-rock domina i concerti giovanili e comincia ad affermarsi un fermento artistico che condizionerà i decenni successivi.
“Pazienza” è il titolo del brano e del video dedicati ad Andrea Pazienza, il fumettista e pittore scomparso a soli 32 anni, autore di “Zanardi” e “Gli ultimi giorni di Pompeo”, disegnati con il caratteristico tratto essenziale, così come il brano a lui dedicato. Canini ne fa un ritratto di avanguardie sospese o, come recita il testo: “La più bella striscia di fumo sulla terra”, partendo dal ritorno a Montepulciano, ultimo tratto del suo cammino.
Diretto da Giacomo De Bastiani, Alessio Lavacchi e Gabriele Piazzesi, il video “Pazienza” è stato realizzato con la partecipazione dei disegnatori satirici Sergio Staino e Stefano Disegni, dell’attore comico Sergio Vastano e del fotografo d’arte Stefano Giraldi, tutti artisti che hanno conosciuto uno dei più grandi fumettisti italiani.
“Cinque ragazzi” riporta ancora al mondo dei fumetti, tanto in voga in quel periodo, ai tempi delle riviste “Cannibale” e “Frigidaire”, che rivoluzionarono la satira italiana, proseguendo l’esperienza de “Il Male”. La canzone pur struggente è quasi ballabile, grazie al ritmo imposto dalla fisarmonica suonata da Giacomo Tosti.
“Technicolor” introduce il secondo atto e porta il professore negli anni ’80, dove l’edonismo e la televisione commerciale spazzarono via il bianco e nero della perduta innocenza.
Cantini canta con Giorgia Del Mese, proponendo una ballata dal sapore cantautorale, in cui elenca i miti di quel periodo, accompagnato dall’evocativo piano Hammond di Lele Fontana e dal malinconico violino di Francesco Moneti.
Il professore incontra Pier Vittorio Tondelli in “Soffia profondo Pier”, uno dei brani più belli e centrali del disco, arricchito dall’intervento al sax di Claudio Giovagnoli. Il passo successivo, nella canzone “L’esilio”, vede la pittrice messicana Frida Kahlo accogliere Trockij nella casa Azul, con la voce di Letizia Fuochi che affianca quella di Cantini.
Prima del risveglio, quindi ancora nella seconda parte, l’incontro è con Federico Fellini nel brano “Vita e morte di Federico F.”. Qui il sogno si sposta in Messico alla ricerca di Castaneda, per la sceneggiatura di un film che non sarà mai girato.
Il terzo atto porta “Fuori dal sogno” e la decisione di andare via dal paese, un “Preludio all’addio” che si compirà con “In partenza”, l’ultimo brano che ci lascia con un paradosso: “Pensa liberamente, ma ubbidisci per sempre”.
L’opera si avvale di importanti collaborazioni, tra cui, Erriquez della Bandabardò, Francesco Moneti dei Modena City Ramblers, a Giacomo Tosti, Bernardo Baglioni, Luca Lanzi della Casa del Vento.
Il secondo disco di Marco Cantini porta compie un viaggio nella memoria, dove luoghi, situazioni e personaggi sono soltanto apparentemente lontani dal presente. Il progetto musicale è fuori dagli schemi e dalle logiche di mercato ma Cantini riesce a compiere il suo ambizioso viaggio nel tempo con lucidità intellettuale e talento musicale.
Quegli anni ce li racconta un “ragazzo” nato nel 1976 e noi, che abbiamo qualche anno in più, cogliamo l’occasione per ricordare e riflettere.
Qual è stata la genesi di “Siamo noi quelli che aspettavamo”, il suo nuovo album?
Nel gennaio 2013, io e Gianfilippo Boni (produttore artistico dell’album), ci siamo ritrovati per parlare di come avremmo voluto l’opera e cominciare a realizzare i provini, prima di coinvolgere tutti i musicisti. Boni è uno straordinario professionista con grande cultura musicale, il suo contributo è stato decisivo, fondamentale.
Condivido con lui la passione per autori come Lolli, De Andrè, Guccini, anche per questo è stato facile capirsi, perseguendo da subito un obiettivo comune.
Dall’inizio delle sessioni in studio avevo già scritto qualche brano dell’album, c’era già l’idea del concept, e altre canzoni sono nate durante il lungo tempo di lavorazione. Addirittura ho composto “L’esilio” quando eravamo pronti per il mastering dell’album, inserendola in extremis, con il prezioso apporto di Riccardo Galardini.
Sono nati nuovi sodalizi artistici durante la lavorazione visto che ci sono tanti importanti contributi?
Il percorso che ci ha condotto all’uscita del 4 aprile 2016 è stato piacevole, con alcune sorprese che ci hanno dato ancor più motivazioni come l’e-mail di Erriquez della Bandabardò, nella quale mi comunicava che avrebbe cantato volentieri “Cinque ragazzi”, brano dedicato agli storici fondatori delle riviste Cannibale e Frigidaire.
Qui la soddisfazione è divenuta duplice vista la presenza anche di Luca Lanzi, cantante della Casa del Vento, band che seguo e ammiro da tanti anni. E poi il sostegno e il contributo di preziosi musicisti come Francesco Fry Moneti dei Modena City Ramblers, con il quale è nata una bella amicizia, Fabrizio Morganti, Lorenzo Forti, Lele Fontana, Claudio Giovagnoli e tanti altri.
Tra le belle sorprese sottolineo la partecipazione di artisti quali Echaurren, Sergio Staino, Stefano Disegni, Sergio Vastano, Stefano Giraldi e il pittore Massimo Cantini che, oltre ad avere realizzato le illustrazioni del booklet, è mio padre.