Per il centenario dalla nascita del grande cineasta Luciano Emmer (Milano, 19 gennaio 1918 – Roma, 16 settembre 2009), la Cineteca Nazionale a Roma ha voluto ricordarlo con una rassegna dei suoi film a cominciare da “Domenica d’agosto” (1950), “Parigi è sempre Parigi” per continuare con “Le ragazze di Piazza di Spagna” (1952) e “Il bigamo” (1955). Infine, il 2 aprile sarà proiettata “La ragazza in vetrina” (1961) nella copia restaurata e con la ricostruzione della versione originale a cura della Cineteca Nazionale, e “Basta! Ci faccio un film”(1990).
Come scrive giustamente Silvio Danese, Emmer“era un cordiale riottoso. Non la mandava a dire a nessuno. E poi il cinema. Francesca Bertini, abbarbicata lasciva a qualche cortina, domina l’atrio di casa Emmer nei primi anni ‘20, quando c’erano ancora i calessi e le lampade a carbone. Emmer, ha scoperto il cinema così, a cinque anni. Ha studiato al liceo, a Milano, con Dino Risi. Ha diretto documentari insostituibili sull’arte, nell’immediato dopoguerra, facendo sobbalzare Mussolini sulla poltrona di Villa Torlonia con la celebre frase “Non eravamo più ignari del dolore e della morte” nel documentario su Predappio. Ha esordito nel 1950: Domenica d’agosto è una commedia che, in pieno neorealismo, sovvertì le regole del racconto, con una fragilità narrativa che diventa forza di verità. Per un decennio Emmer ha lasciato il segno. Poi ha lasciato il cinema.
L’incorruttibile personalità di un autore da rimpiangere si era scontrata con la censura, l’ipocrisia morale dei politicanti, l’indifferenza degli intellettuali. L’addio di Emmer al cinema fu intemperante, cioè profondamente onesto. La vedeva così: “Una bella lapide con una data e un’iscrizione: 1960 (o giù di lì), il cinema italiano è morto qui” […]. Seduto nel suo minuscolo ufficio tra i prefabbricati anonimi di Saxa Rubra, qualche anno fa ci affidò questa riflessione sul cinema: “La storia del cinema alla mia maniera è la storia di uno che anziché fare l’idraulico ha fatto il cinema. Cioè un mestiere. La gente lo piglia per chi sa che cosa. Io non l’ho mai considerato di più. I film lasciano tracce forti? Come i rubinetti buoni, che fanno la tranquillità di una famiglia. Se un rubinetto funziona per quattro o cinque anni, è stato riparato bene. Ma poi, chi decide se si fa bene o male un film?””.