Quando una manifestazione è aperta dal presidente del Consiglio e chiusa dal presidente della Repubblica, il tema deve essere per forza importante.
Per la seconda volta gli Stati Generali della lingua italiana hanno discusso il futuro di quell’elemento che definisce la nostra essenza, la nostra lingua.
La manifestazione è iniziata con l’annuncio di Matteo Renzi di un aumento dei fondi destinati all’insegnamento della nostra lingua all’estero e poi con l’annuncio di Mario Giro, il vice ministro degli Esteri, dei risultati del censimento degli studenti della nostra lingua nel mondo. Nel 2014 la cifra sembrava di 300.000, ma uno studio più preciso attesta un numero che va ben oltre i due milioni.
Una lettura attenta delle cifre dimostra che le grandi concentrazioni di questi studenti si trovano in quei Paesi con una grande presenza di emigrati italiani e dei loro discendenti, come anche nei Balcani, nel Mediterraneo e persino in Cina, da cui oggi molti immigrati vengono in Italia.
Giro ha tuttavia riconosciuto che le cifre, nei Paesi di tradizionale emigrazione italiana, sono basse in paragone agli oltre novanta milioni di italiani e oriundi nel mondo, cifra che somma i cinque milioni di cittadini italiani all’estero e i discendenti delle varie generazioni di emigrati italiani.
In questo senso, almeno agli occhi di chi scrive, c’era come due anni fa un’assenza importante alla manifestazione di Palazzo Vecchio. Si tratta dell’industria italiana che dovrebbe avere più interesse a vedere aumentare il più possibile il numero di italofoni nel mondo, cioè l’editoria. Solo gli italiani nel mondo sono oltre una volta e mezzo la popolazione attuale della penisola, senza scordare le ricadute editoriali che si potrebbero avere interessando il pubblico internazionale ai nostri libri in versione tradotta.
Nel suo discorso il presidente del Consiglio, non a caso, ha parlato dell’importanza di promuovere il “Made in Italy” e il Sistema Italia, come anche di utilizzare la lingua per le promozioni commerciali. Se c’è un solo aspetto particolare che contraddistingue il “Made in Italy” questo si trova proprio nella nostra lingua. È un aspetto che ci valorizza per quel che siamo e tiene insieme le varie comunità italiane nei cinque continenti.
Nel corso della prima sessione dei lavori fiorentini, quattro grandi gruppi industriali italiani hanno dimostrato l’uso di immagini italiane nella loro pubblicità ma nessuno ha purtroppo fornito prova che le immagini pubblicitarie abbiano effettivamente contribuito ad aumentare tanto l’economia italiana quanto la nostra Cultura in giro per il mondo.
Anche i relatori hanno parlato delle glorie prodotte dai nostri artisti e autori, ma come sempre ci è concentrati era sulla cosidetta “cultura alta” quando invece bisognerebbe riconoscere che esistono altre forme di promozione culturale in lingua italiana altrettanto valide e forse più accessibili. Non bisognerebbe scordare, ad esempio, che pochi all’estero, particolarmente tra i nostri connazionali che sono da molto tempo lontani dal Belpaese, hanno la capacità di capire il linguaggio delle lirica o di apprezzare i capolavori letterari in lingua originale.
Quando l’attore Pierfrancesco Favino ha magistralmente letto un estratto del Romanziere di Petrarca mi sono chiesto quanti all’estero sarebbero stati effettivamente in grado di capirne le parole, malgrado la bellezza musicale del linguaggio italiano di sette secoli fa.
Questo è un aspetto degli Stati Generali che mi aveva già colpito nel 2014 e che mi sembra trascurato soprattutto all’estero dove ci sono sistemi scolastici diversi. Non a caso due esponenti del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, nel corso dei lavori, hanno evidenziato il reale bisogno formativo delle comunità italiane all’estero, un aspetto che andrebbe considerato quando si progetta come meglio promuovere la nostra lingua a livello internazionale.
Ad esempio, per quel che riguarda la cultura italiana in Australia di cui porto l’esperienza personale, va evidenziato come, sia nel sistema privato che nell’università pubblica, la nostra lingua e la cultura letteraria italiana non sono considerate agli stessi livelli di quella anglosassone o anche di quella francese. Io ho frequentato quel che qui sarebbe stato il liceo classico e gli unici testi non inglesi che abbiamo studiato erano entrambi francesi: “Lo straniero” di Camus e “Il rosso e il nero” di Stendhal, entrambi in inglese. Solo quando ho studiato l’italiano fuori dal sistema scolastico ho cominciato a conoscere davvero gli autori italiani, come anche i grandi personaggi della Cultura e della Storia del nostro Paese.
Non c’è dubbio che gli Stati Generali della lingua Italiana abbiano il potenziale di far aumentare la conoscenza della nostra lingua, della nostra cultura ed eventualmente di tutti i prodotti della nostra penisola all’estero. Ma dobbiamo tenere in mente che le intenzioni serie e genuine degli organizzatori e dei partecipanti non bastano, da sole, a far ottenere quel posto d’onore mondiale che il nostro Paese meriterebbe per il suo immenso patrimonio culturale.
La lingua e la cultura non crescono solo con le buone intenzioni, ma con le classi e gli insegnanti, crescono facendo conoscere tutti gli aspetti della nostra cultura al mondo e non semplicemente promuovendo quegli aspetti accessibili soltanto a chi già ha un altissimo livello culturale italiano.
In fondo, tutti gli sforzi in questa direzione, non sarebbero semplici azioni culturali ma sarebbero passi in avanti verso l’aumento della consapevolezza del pubblico internazionale di quel che l’Italia può offrire al mondo.
Il risultato finale non sarebbe solo quello di vendere qualche libro di più, ma di avere anche aumenti enormi del livello del turismo in Italia o della vendita di prodotti italiani, che in fondo sono posti di lavoro che renderebbero il Paese più ricco, sia culturalmente che economicamente.
Di Cultura si può vivere e bene anche, come dimostrano i francesi, ma bisogna iniziare a farlo seriamente, con costanza e piani programmatici e sempre come Sistema Paese. Non semplicemente parlandone in modo interessante per due giorni a Firenze.