Il film di Paolo Sorrentino, La Grande Bellezza, presentato a Cannes, applaudito e discusso, presenta un singolare segmento di vita romana. Non i vicoletti del centro secentesco animati da laboriosa attività, non i vivacissimi e colorati mercati delle piazze, come a Campo de Fiori, non le zone ad alta concentrazione di istituzioni religiose, piene di preti e monache dalle facce sempre più diverse dalle nostre, ma gli interni segreti e misteriosi delle residenze della nobiltà del sangue, della chiesa e del danaro.
Protagonista, una terrazza da sogno, ampia e circondata da ricca vegetazione, affacciata direttamente sul Colosseo, arredata come un salotto pregiato, unico al mondo, frequentata da un ristretto gruppo di intellettuali ed eccentrici di varia provenienza. Tra questi spicca il protagonista.
Jep Gambardella, interpretato da Tony Servillo, è un uomo sulla sessantina che vive della rendita fornita dal successo di un suo unico romanzo, a suo tempo un successo mai più ripetuto. L’autore è assorbito dalla voluttà di una sorta di dolce vita romana dei nostri giorni, fatta di cinismo e saggezza, ma soprattutto di pigrizia, una pigrizia invincibile, nutrita dal clima mite ed assolato e dai tramonti spettacolari che tingono cupole e campanili.
Simile a lui un commediografo interpretato da Carlo Verdone, con i baffi questa volta, che deluso e inaridito dalla sua Roma superficiale e vuota, se ne torna al paesello natio, abbandonando teatri e amici.
Spicca tra i protagonisti un principe della chiesa, un cardinale vecchio e cinico, assiduo frequentatore di nobiltà e intellettuali dall’oscura fama di esorcista, esperto di riti per scacciare Satana. Una donna ultracentenaria in fama di santità rappresenta la chiesa di base, quella vicina ai più sventurati del mondo: “La povertà si vive, non si racconta”, sussurra lentamente a chi le chiede di narrare le sue esperienze.
La folla è composta da gente di variegata provenienza sociale, uomini e donne di mezza età alla ricerca patetica dei piaceri e delle emozioni della giovinezza perduta. È rappresentata a lungo e lentamente durante gli sballi notturni, volti e trucchi disfatti, corpi sudati che si agitano senza posa.
Il film è da vedere non tanto per questi personaggi tristi e deprimenti, lontani dalla quotidianità della buona borghesia romana professionale e laboriosa, quanto perché porta alla luce luoghi meravigliosi, interni ed esterni, chiusi, proibiti a visitatori e romani. Dimore principesche, parchi circondati da rovine di epoca imperiale, piscine, statue, pitture, ornamenti, architetture contemporanee sovrapposte a quelle classiche, tutto celato da mura insuperabili.
Vengono domande a proposito dei pochi abitanti di queste favolose dimore, ora che i comunisti non ci sono più e che in parallelo non esiste più neppure l’ unità politica dei cattolici. Che potere hanno? Politico, finanziario, economico? Che fanno? Che valori sostengono? Dove trovano la loro ragione di vita?
Misteri oscuri di Roma. Bellissima ed eterna.