Giuliano Gori, il collezionista che ha dato vita alla prima e più grande collezione di Land Art in Italia, affida ai ricordi personali un’amicizia durata mezzo secolo con il prorompente Christo Vladimir Javacheff. Eccoli immortalati nell’inedita posa di due ragazzi cresciuti, rotolati per terra e stretti in un abbraccio di gioia, come appaiono in una lettera aperta dedicata da Gori all’amico deceduto a fine maggio a New York all’età di 84 anni. Vitalità ed energia non hanno mai abbandonato l’artista bulgaro naturalizzato americano che attendeva con ansia di impacchettare l’Arco di Trionfo a Parigi, sua ultima performance, spostata all’autunno 2021 causa pandemia. In Italia aveva avuto un riscontro trionfale il suo “The Floating Piers” sul Lago d’Iseo.
Una luminosa passeggiata sull’acqua capace di generare un’esperienza sensoriale di significato quasi biblico, grazie anche al peso del suo nome. Una passerella galleggiante larga 16 metri e lunga oltre 3 km, ricoperta di tessuto arancione, si stendeva da Sulzano, sulla terraferma, a Monte Isola passando per l’isolotto di San Paolo.
Una passerella straordinariamente artistica, ma anche prepotentemente turistica per l’intero territorio, andata in scena dal 18 giugno al 3 luglio 2016.
Opera effimera come quasi tutte quelle di Christo, apolide per necessità, viaggiatore per vocazione, esponente di spicco della Land Art. Le sue grandiose performance, come quella sul lago che in Lombardia si incunea in fondo alla Val Camonica tra le province di Brescia e Bergamo, hanno riletto, reinventato e modificato il paesaggio ma lo hanno fatto per un periodo di tempo circoscritto, poi sono state distrutte. Di esse sono rimasti soltanto i progetti, i disegni, le fotografie.
Piace pensare, ora che la sua avventura terrena si è conclusa, che la sua anima trasmigrerà, assieme a quella dell’amata compagna nella vita e nell’arte Jeanne-Claude, nello smisurato Mastaba di Abu Dabhi, unica opera permanente nel suo lungo percorso artistico. Il Mastaba che si sta completando nell’oasi di Liwa, aspira ad essere la scultura più imponente del mondo, destinata a battere alcuni primati per le sue dimensioni, compresa la Piramide di Cheope. Si tratta di un assemblaggio di 450mila barili di petrolio, alto 150 metri, largo 300, profondo 225, del costo di 340 milioni di dollari.
Giuliano Gori aveva sviluppato con Christo una lunga e affettuosa amicizia che li aveva rispettivamente resi partecipi di ogni avventura del loro lungo percorso artistico. Il collezionista toscano nato a Prato, in Toscana, nel 1930, ha invece realizzato il sogno della sua vita nella celebre “Fattoria di Celle”, a una manciata di km da Pistoia, applicazione virtuosa del fortunato matrimonio arte-natura.
E’ la primavera del 1970 quando l’allora giovane impresario si trasferisce nel palazzo già abitato nel ‘600 dal cardinale pistoiese Fabroni e poi dal bibliofilo Tammaro De Marinis, amico di Benedetto Croce. Nelle mani del collezionista tutta la Fattoria si apre ad un nuovo umanesimo: prendono vita le scuderie, la cantina, il laboratorio, il granaio, gli edifici sparsi nella tenuta, la cappella, la casina del tè, la voliera, la pavoniera e un vasto territorio che comprende vigneti ed uliveti, orti e frutteti. Oggi la storia di questo enorme contenitore d’arte, natura e architettura, racconta di una straordinaria simbiosi tra luogo, edificio e collezioni, di un’esaltante avventura resa possibile dalla connivenza dei fondatori Giuliano Gori e della moglie Pina con una ”famiglia” di pittori e scultori fra i più importanti del ‘900.
Una collezione che non smette mai di arricchirsi con nuove opere come la recente, straordinaria Porta sonora della Cappella di Celle realizzata come uno spartito musicale, con l’intera superficie coperta dalle note riprodotte in rilievo di un assolo per violino di 4 minuti e mezzo, composta dall’artista visivo Daniele Lombardi e intitolato “Vergine Madre” in omaggio alla preghiera di San Bernardo alla Vergine, nell’ultimo canto del Paradiso di Dante, il XXXIII. Un geniale capolavoro di creatività, una porta-scultura- partitura, un congegno sonoro che fa scattare una registrazione del brano musicale ogni volta che le ante della porta della Cappella vengono spinte verso l’interno. Fra le altre nuove opere permanenti: “Echo” di Hera Buyuktasçiyan, pluripremiata artista armena che ha partecipato all’ultima Biennale di Venezia.
A Celle si è dal primo momento praticato un collezionismo totalmente fuori dalle regole di mercato, perché i lavori realizzati sono e restano inamovibili e niente può privarli del loro ambiente. Il 16 giugno 1982 il giardino di impianto romantico, trasformato in parco tematico della scultura contemporanea, ha aperto al pubblico con un primo nucleo di opere fra cui quelle di: Fausto Melotti, Robert Morris, Sol Lewitt, Ulrich Ructrie, Alice Aycock, Denis Oppenheim, Robert Serra, Anne e Patrick Poirier, George Trakas…
“Il grande ferro Celle” in acciaio rosso-minio di Alberto Burri collocato nel 1986 davanti all’entrata della Fattoria introduce al primo cancello e alla strada disegnata dallo Ximenes che porta al palazzo 600esco. Inizia qui un viaggio fuori dal tempo eppure strettamente legato alla contemporaneità.
Con Giuliano Gori e la sua famiglia, Christo che con le sue folli installazioni voleva ridisegnare il mondo, ha avuto una lunga ed affettuosa frequentazione durata più di mezzo secolo.
Fra le opere maggiori ricordiamo l’imballaggio di Porta Pinciana a Roma nel 1974, Wrapped Roman Wall, e quando avvolse di spaghi e nastri il monumento di Leonardo da Vinci a Milano, il Running Fence, una recinzione tesa da Est ad Ovest per 40 Km.
A nord di San Francisco, invece, ha realizzato Surrounded Islands (1980-1983) dove le isole della baia di Biscayne a Miami sono state circondate da una cintura di polipropilene fucsia.