Capricciosa, marinara, margherita, calzone, sono alcune delle tante pizze che vengono sfornate quotidianamente dai forni a legna dei tanti ristoranti di Napoli. Cuoce lentamente la pasta lievitata all’interno della fornace dove scoppietta la corteccia d’olivo utilizzata per una cottura ottimale. Servita fumante, incarna il sapore per eccellenza di Napoli.
In Italia esistono diverse tipologie di pizza: al taglio, alla pala, la pizza genovese, la siciliana, la foggiana, la romana, la panada sarda, ma quella più conosciuta è quella napoletana di cui le due più popolari sono la margherita e la marinara.
Si narra che la nascita della pizza margherita sia da attribuire al cuoco Raffaele Esposito che, nel 1889, per omaggiare la regina d’Italia Margherita di Savoia, inventò un pasto nuovo, condito di pomodori, mozzarella e basilico che raffigurava i colori della bandiera nazionale. Fu così che il piatto a base di acqua, lievito e farina di frumento divenne l’alimento più degustato dalle classi povere e da quelle più agiate.
Inizialmente, a Napoli, la pizza era venduta sui banchi ambulanti e dai venditori di strada fuori dai forni, agli affamati passanti desiderosi di un pasto caldo. Col passare degli anni, sorsero i primi ristoranti con tavoli e sedie per rendere più comoda la degustazione del rotondo alimento.
Citata anche in numerose opere letterarie, la pizza compare ne “Il Corricolo” di Alexandre Dumas padre (1841) dove venivano elencati gli ingredienti del rinominato piatto: “A Napoli la pizza è aromatizzata con olio, lardo, sego, formaggio, pomodoro, o acciughe”, e veniva considerata, durante la stagione invernale, l’alimento principale per la gente umile.
Anche Matilde Serao, cofondatrice dello storico quotidiano di Napoli “Il Mattino”, tratta lo storico alimento nel suo libro “Il ventre di Napoli”, commentando: “La pizza rientra nella larga categoria dei commestibili che costano un soldo, e di cui è formata la colazione o il pranzo, di moltissima parte del popolo napoletano” ed ancora “il pizzaiuolo che ha bottega, nella notte, fa un gran numero di schiacciate rotonde di una pasta densa […] cariche di pomidoro quasi crudo, di aglio, di pepe, di origano: queste pizze […] sono affidate a un garzone, che le va a vendere in qualche angolo di strada, sovra un banchetto ambulante e lì resta quasi tutto il giorno”.
La pizza è quindi un alimento economico, nutriente e naturale che viene degustato con piacere in ogni angolo del pianeta.
Con i suoi profumi, i suoi sapori e la genuinità dei suoi ingredienti, la pizza napoletana incarna l’essenza di una città legata fortemente alle sue radici che molti cercano di imitare. A tal riguardo, onde evitare che la denominazione di “vera pizza napoletana” viaggi illegittimamente in giro per il mondo, il 5 febbraio 2010, l’Unione Europea ha riconosciuto alla pizza napoletana l’acronimo di S.T.G. ossia “Specialità tradizionale garantita della Comunità Europea”.
Il marchio volge a tutelare le produzioni caratteristiche oggetto di lavorazioni tradizionali e riconosce la specialità del metodo di produzione appartenente alla tradizione di una determinata zona geografica.
La celebre pizza è stata anche fonte d’ispirazione in notevoli canzoni come quella dai ritmi allegri di “A pizza c’’a pummarola” di Domenico Modugno, nella quale Mr. Volare paragona la bocca rossa di una figliola ad una pizza con la “pummarola”.
Altra canzone epica è “’A pizza” di Aurelio Fierro nella quale, per conquistare il cuore di una ragazza, l’autore provava ad offrirle brillanti e pranzi lussuosi che venivano sistematicamente rifiutati dall’innamorata perché desiderosa di assaporare solo il gusto unico di una pizza al pomodoro.
La pizza napoletana divenne anche il titolo della canzone “Fatte ‘na pizza” di Pino Daniele nella quale l’artista pubblicizza l’alimento denunciando il tipico accostamento pizza-mafia che si fa degli italiani all’estero. La storia ci insegna che la bellezza e la semplicità delle cose rendono l’uomo felice, ed è questo il caso di un alimento semplice e tradizionale che dà vita ad un piacere unico.