Un ciak dopo l’altro nella culla del Rinascimento, e l’Inferno di Ron Howard è servito, anzi, è diretto e ormai pronto per sbarcare in sala. Dalla spensierata età nei “giorni felici” di “Happy Days” a una straordinaria carriera di regista culminata con l’Oscar per il Miglior film e regista nel 2002 per “A Beatutiful Mind”. Lui è Ron Howard, l’uomo dietro la macchina da presa dei cult anni ‘80 “Cocoon” e “Willow”. 
 
Artefice nel corso degli anni di film sempre più corposi e dall’alto spessore drammatico-umano come “Cinderella Man” (2005), “Frost/Nixon – Il duello” (2008), “Rush” (2013) e il recente “Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick” (2015), questi ultimi entrambi interpretati da Chris “Thor” Hemsworth. 
 
A partire dal 2006 il regista originario di Duncan (Oklahoma) ha portato sul grande schermo uno dei più grandi best seller del terzo millennio: “Il codice da Vinci”, con Tom Hanks nelle vesti del professore Robert Langdon, trasposizione cinematografica dell’omonima opera letteraria a firma Dan Brown, del quale è stato poi tratto anche “Angeli e Demoni” (2009). Sei anni dopo, il sodalizio Howard-Brown ha dato un nuovo frutto, “Inferno”, film sbarcato nelle sale cinematografiche italiane giovedì 13 ottobre distribuito da Warner Bros. Pictures, e girato in gran parte nel Bel paese tra Venezia e Firenze.
 
Ed è proprio lì, nel cuore del capoluogo toscano che nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio si è tenuta la presentazione di Inferno con il cast al gran completo e alla presenza del regista Ron Howard, lo scrittore Dan Brown e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Due giorni dopo invece, scatterà l’ora della premier mondiale al Teatro dell’Opera, sempre a Firenze. Un doveroso omaggio verso una città che ha fatto da naturale set cinematografico al film, con incursioni in Duomo, Palazzo Pitti, Piazza della Signoria, il corridoio del Vasari, Badia Fiorentina e il Museo dell’Accademia. 
 
Libri e mistero, ma non solo. In parallelo Howard ha messo cuore e telecamera in uno dei più grandi miti della storia musicale, i Beatles, realizzando il documentario “Eight Days a Week – The Touring Years”. Spezzoni d’epoca ed epici live negli stadi a stelle e strisce. Interviste a interpreti della settima arte come Sigourney Weaver e Woopi Goldberg, senza scordarsi dei Fab Four Ringo Star e Paul McCartney. 
 
Distribuito in Italia da Lucky Red, la pellicola è stata a disposizione del pubblico per una sola settimana, dal 15 al 21 settembre scorso, riscuotendo un grande successo. La musica dei quattro di Liverpool è ancora amatissima in Italia come in ogni parte del mondo. 
 
Se in tempi recenti i Beatles erano tornati sul grande schermo con i vecchi film da loro stessi interpretati negli anni d’oro, “Magica Mystery Tour” (1967) e “A Hard Day’s Night” (1964), adesso è la volta di un’opera nuova. Un documentario che inevitabilmente affonda un po’ nella nostalgia per quella musica che sapeva ancora arrivare diretta alle emozioni delle masse.
 
Se per i fortunati che hanno assistito a “Eight Days a Week – The Touring Years” è stato impossibile non farsi scappare qualche strofa canticchiata al momento di ascoltare le varie Help, Can’t Buy Me Love, Dizzy Miss Lizzy e le altre immortali, la suspense è garantita per i futuri spettatori di “Inferno”, così come le emozioni nell’ammirare l’arte a cielo aperto di Firenze e Venezia. 
 
Dopo aver scoperto la discendenza terrena (e ancora vivente) di Gesù Cristo e aver salvato il Vaticano da una pericolosa minaccia interna, questa volta il prof. Langdon si ritroverà in un gioco ancor più pericoloso. 
 
Saranno ancora una volta la sua sconfinata conoscenza del mondo dei simboli e l’aiuto della dottoressa Sienna Brooks (Felicity Jones) la chiave per uscire da un labirinto molto realistico che ha tutti i connotati dell’Inferno di Dante Alighieri. 

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